"Stormbringer è una vera merda!" (Ritchie Blackmore)

Con questa frase il chitarrista inglese bolla l'ultimo prodotto in studio della Mark III (Coverdale, Hughes, Blackmore, Lord e Paice). Dove c'è il "Man in black" vi sono degli attriti e anche in questo periodo non ne mancarono, soprattutto con il bassista cantante Glenn Hughes, per motivi concernenti quasi esclusivamente il sound che andava prendendo il gruppo, che dall'hard rock stava virando verso il funky. Blackmore ha già idea di lasciare il gruppo (di lì a poco formerà i Rainbow con gli Elf di Ronnie James Dio), intanto i produttori discografici premono per un nuovo album, dopo il successo universale di "Burn" del 1974 e la successiva performance strabiliante al California Jam Festival nell'aprile dello stesso anno. Tuttavia il lavoro che ne esce è un disco (titolato "Stormbringer" e pubblicato sempre nel '74) fatto in fretta e con poche idee, sicché non si riesce a ripetere la ventata di freschezza caratterizzata dal precedente album e, soprattutto, non si riesce a ripeterne il sound duro e aggressivo. Blackmore è svogliato e a prendere le redini del gruppo è Glenn Hughes.

Se non fossero i Deep Purple, magari quest'album sarebbe apprezzabile ma, appunto, il nome del gruppo è quello e tutti, forse anche gli stessi musicisti (ad eccezione di Hughes) s'aspettavano qualcosa di più Hard e meno Funky.

L'album si apre con la title-track: "Stormbringer" è una tempesta martellante dai ritmi epici. Un Hard Rock che sfiora l'Heavy Metal, scritto da Coverdale (che da una grande prova vocale) e Blackmore e lo stesso cantante disse di questa canzone:

"Scrissi Stormbringer per fare contento Ritchie. Era qualcosa di molto heavy, come lui desiderava perché aveva paura che il gruppo prendesse una direzione troppo funky"

Inizio promettente e bruciato con la successive due canzoni: "Love Don't Mean A Thing" e "Holy Man". Queste sono due canzoni volute da Hughes, che apre il gruppo alle influenze blues-soul e alla musica nera tanto cara al bassista cantante, il quale impreziosisce i due brani con grandi vocalizzi. Le tastiere di Lord aprono il trascinante shuffle di "Hold On", che alza di poco il valore del disco. Blackmore si limita a disegnare scialbi assoli, preferendo lasciare più spazio a Jon Lord, segno che ne ha già abbastanza di questo cambio di sonorità.

E con "Lady Double Dealer" si cerca ormai di salvare il salvabile: si ritorna ai bei tempi di "In Rock" e "Machine Head". La chitarra di Blackmore è tagliente e il cantato di Coverdale ricorda le isterie di Gillan. Insieme alla title-track e la finale "Soldier Of Fortune", è l'unica vera perla del disco. Le successive tre canzoni sembrano essere scritte per dei lavori solisti dei rispettivi membri: "You Can't Do Right (With The One You Love)" è su misura per Glenn Hughes, "Higball Shooter" rappresenta l'inizio del sound dei Whitesnake di Coverdale e "The Gypsy", invece, è l'epic rock tanto caro a Blackmore e ai suoi Rainbow (quest'ultima molto apprezzabile).

La chiosa finale, però, è affidata ad un vero capolavoro dei Deep Purple: "Soldier Of Fortune". Scritta da Blackmore e Coverdale, quest'ultima traccia è una commovente ballad acustica, con la melodia scritta da Coverdale all'età di 15 anni e eseguita con una prestazione vocale senza pari. Blackmore accarezza le corde della chitarra sul sottofondo dell'organo celestiale di Lord. "Soldier Of Fortune" (scarsamente sfruttata nei live) assume per la Mark III la stessa importanza che ebbe "Child In Time" per la Mark II.

Ritorniamo alla frase di Blackmore: "Strombringer" rappresenta effettivamente un punto basso toccato dal gruppo inglese, caratterizzato forse dalle troppe differenze di vedute di Coverdale, Blackmore e Hughes e più che rappresentare un'opera unitaria della band sembra una raccolta di pezzi solisti dei tre. Nonostante tutto, però, riesce a dire la sua grazie alla title-track, "Lady Double Dealer" e "Soldier Of Fortune

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