E' ovvio che se uno deve accattarsi il primo disco dei Deep Purple della sua vita (nel mio caso, avevo nove anni), non è questo l'album da privilegiare, dovendo la scelta cadere necessariamente nell'intervallo 1970-1972 della Mark II (ovvero la progressione In Rock - Fireball - Machine Head - Made In Japan). Una certa propensione all'analisi di molti dischi controversi e sfortunati ed un ragionamento sulle innegabili capacità dei Deep Purple nel 1973 - anche dopo il successo di Made In Japan e le inevitabili pressioni ed aspettative conseguenti - mi hanno sempre fatto guardare con indulgenza e curiosità a questo Who Do We Think We Are, stroncato dalla critica al momento della sua uscita e considerato una mezza schifezza persino da molti fans, il che secondo me non merita affatto.

Il problema di tanti albums negletti e mal giudicati, al di là di tante uscite discografiche obiettivamente ed oggettivamente infelici, è che l'artista o la band hanno deciso di modificare, variare, diversificare o integrare il proprio genere musicale, e la cosa non viene accettata: per quanto il risultato della diversa creazione artistica, coerentemente con la scelta operata (che a sua volta può essere azzeccata o meno), possa essere riuscito e ben calibrato, esso non viene tollerato nè compreso dal pubblico, abituato alle precedenti scelte stilistiche e spesso incapace di introitare cambiamenti che l'artista ha però tutto il diritto di sentire necessari. Quello che sto dicendo è che bisognerebbe avere il distacco e l'obiettività necessari per valutare l'opera artistica nell'ambito in cui l'artista l'ha voluta creare, giudicando prima di tutto il valore dell'opera stessa in relazione alle intenzioni creative, per poi filtrare l'opera attraverso i propri gusti musicali, e questo resta sempre legittimo (ci mancherebbe). Se domani gli AC/DC decidessero di fare un album di musica celtica, tre quarti dei loro fans accantonerebbero il disco già solo per la scelta stilistica, senza giudicarlo nel nuovo ambito in cui gli artisti stessi hanno voluto comporlo... è giusto invece che un'opera artistica venga valutata anche per quello che voleva ottenere: sarebbe giusto giudicare l'ipotetico album celtico di Angus & Co. (non credo che lo faranno!) per l'eventuale rispondenza della voce alle esigenze del genere, la performance ottenuta, il valore dei temi musicali, il feeling trasmesso, e se il risultato fosse positivo si potrebbe anche rispettare la scelta dell'artista, evidentemente necessitata (in considerazione del buon esito offerto) da un percorso artistico interiore che all'artista stesso non può essere negato. In questo caso, se non fossimo d'accordo con gli AC/DC, quello che giudicheremmo non è in realtà il loro album, ma la musica celtica, senza rendere giustizia allo sforzo della band; questo è quello che un recensore secondo me non deve fare, dovendo invece dar conto della maturità dell'artista nella realizzazione di quello che effettivamente e consapevolmente voleva realizzare. Dopo di che, se uno la musica celtica non la ama, il disco non se lo compra ed anzi deplora la virata di genere musicale, ma non per questo deve ritenere che la band ha preso a fare schifo, o a non saper suonare o comporre.

Questa lunga ed inappropriata introduzione, che potrà servire per discutere tra noi di valore assoluto e valore relativo dell'opera musicale, mi porta a cercare di valutare Who Do We Think We Are nell'ambito in cui i Deep Purple l'hanno voluto registrare nel 1972/1973: improvvisamente stanchi di essere solamente granitici e rocciosi, avendo fatto il pieno di riff scolpiti nel marmo, provano a piazzare su disco qualcosa che abbia anche un approccio più morbido e diversificato. Gillan prova un blues - erano anni che Blackmore voleva farlo - e non mi pare che Place In Line sia venuta male; ci sono tre o quattro canzoni senza troppi assoli, ma Super Trouper, Mary Long, Smooth Dancer e Our Lady sono obiettivamente ottimi brani, e se li avesse realizzati una band di serie B si sarebbe gridato al miracolo. La celebre Woman From Tokyo (registrata a Roma prima dei concerti giapponesi di Made In Japan) e Rat Bat Blue, che poteva tranquillamente essere inclusa in Fireball, sono infine le innegabili punte di diamante dell'album. Essendo naturalmente portato ad apprezzare le commissioni stilistiche ed i percorsi artistici anche arditi, mi sono sempre chiesto cosa abbia fatto di male questo disco per essere così snobbato, e non ho mai trovato ragioni veramente valide se non per il fatto che la scelta stilistica dei Deep Purple del 1973 non è stata determinata da un maggiore impulso o da rinnovata energia, bensì - al contrario - dal contraccolpo dei tre o quattro anni impegnatissimi, in studio e sul palco, ad essere i più tosti ed i più bravi del mazzo. Il disco mi piace molto, ma è vero che si respira un'aria improvvisamente molto più rilassata, al punto da far percepire il crollo di tensione. I Purple sono oltretutto divisi dagli opposti caratteri di Blackmore e Gillan e probeboilmente non ce la fanno a mantenere la molla alla massima carica. Non ci sono però. a mio parere, contraccolpi sulla capacità della band di comporre ottimi temi musicali o di suonare all'altezza della loro fama (sentire l'assolo di tastiera di Rat Bat Blue): non è un disco venuto male, non volevano fare una cosa ed invece ne è uscita un'altra, non è Too Old To Rock'n'Roll dei Jethro Tull (quello è un album non riuscito, come non è riuscito The Battle Rages On degli stessi Purple, secondo me, o Love Beach degli ELP, o Inner Secrets di Santana).

A questo punto uno può non gradire l'ammorbidimento dei Deep Purple nel 1973, ed ha le sue ragioni, ma non è legittimato a ritenere che abbiamo smesso di saper comporre e suonare: semplicemente, non è in sintonia con la mutata direzione artistica della band. Non ho ancora deciso chi sia legittimato a giudicare le scelte artistiche coerentemente maturate e realizzate, se la cosa debba necessariamente tradursi in capolavori oggettivamente percepibili anche con la lente del genere musicale precedente, e sul punto c'è da discutere: io dico che il metro del gusto personale è assolutamente valido, senza però pretendere di conferire allo stesso valore universale, magari siamo noi a non capire e non l'artista ad essersi rincretinito.

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