A quindici anni avevo due grandi passioni: la musica e Ginetta (nome di fantasia), una mia compagna di classe non molto intelligente ma davvero bellina. Aveva un viso angelico, una fluente chioma castano chiaro, due occhioni verde acqua in cui, quando mi toccavo, immaginavo sempre di specchiarmi mentre me lo succhiava, un culetto semplicemente delizioso e una terza abbondante che sapeva sempre come fare risaltare anche in pieno Gennaio. Sapeva di piacere e piacermi e se ne approfittava, ah se se ne approfittava. Dopo essermi fatto interrogare un paio di volte al suo posto però, la lasciai perdere prima di entrare in uno di quei loop in cui una fanciulla, te la fa annusare estorcendoti favori su favori, senza ovviamente la benché minima intenzione di dartela. Credo i giovani d'oggi la chiamino "friendzone".
Una decade e passa più avanti, mi trovavo al centro commerciale salcazzo per comprare salcazzo, quando venni placcato tipo rugby da una sorta di valchiria iper idratata. "Ehi! Quanto tempo... Ti ricordi di me?!". Strizzai gli occhi e la memoria e... Ma sì, non poteva essere altri che Ginetta. Quanto erano stati impietosi gli anni, col più rovente dei miei sogni erotici adolescenziali! Gli splendidi occhi cerchiati di stanchezza e preoccupazione, l'inarrivabile seno già cadente... Il cambiamento peggiore però, erano le due lagne urlanti che aveva appresso: "Mamma mi compri questo?! Mamma mi compri quello?!! Mamma quando ce ne andiamo?! Mamma, mammaaaa, MAMMAAAAAH!!!!!". Provò a raccontarmi la sua tristissima vita da madre separata ma i due mostri che aveva avuto la dabbenaggine di non abortire, mi diedero modo di capire forse una parola su cinquanta. (Comunque, ça va sans dire, non me ne sarebbe potuto fregare di meno). Mi chiese il numero di telefono ma feci finta di non sentire e schizzai via come un missile.
Cosa c'entra questa storia dalla dubbia morale e vagamente sessista, con l'ultima fatica dei Deftones? Purtroppo molto. Ginetta, Dio la benedica, sarebbe dovuta sopravvivere nei miei ricordi così com'era: bella, spensierata e stupida come un secchio. La donna provata dagli anni e dalle gravidanze che avevo incrociato non aveva nulla a che fare con lei. Mi sentivo incredibilmente triste, una merdaccia per non averle dato il numero (suvvia, un caffé e qualche parola di tanto in tanto, quanto avrebbero potuto essere compromettenti?) ma purtroppo, ciò che sovrastava ogni cosa, era l'avvilente sensazione di essere stato violato nel sacro tempio della mia memoria. Quel luogo immateriale dove conserviamo cose tipo l'emozione delle prime volte, la gioia per i traguardi raggiunti, le lezioni importanti...
Allo stesso modo, della band che mi fece innamorare del proprio sound con "Around The Fur", "White Pony", il self titled ma pure i più che dignitosi "Diamond Eyes" e "Koi No Yokan", su "Ohms" non ho trovato che una versione imbolsita, annacquata, poco ispirata e non c'è ritorno di Terry Date al bancone mixer che tenga. È vero, la titletrack è un missile. Ma se per arrivarci bisogna passare dal passatismo ai limiti dell'auto-cover di Genesis, dalla stucchevole Pompeij, da quell'immensa rottura di marroni che sono Urantia e Headless, il gioco non vale la candela. Non che mi aspettassi un nuovo "Adrenaline", né reputo la carriera di Moreno, Carpenter e Cunningham esente da pecche ma mai, nemmeno sui loro lavori più discutibili, mi era capitato di trovare così poco da salvare.
Forse dopo venticinque anni è pure lecito un gruppo campi di rendita. E che non è detto le cose fighe a quindici anni, siano ancora così tanto fighe a trenta, l'avevo ben appreso rivedendo Ginetta. Ciò non di meno, una minestra riscaldata così insipida non può che risultarmi indigeribile.
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