Rumori. Sempre più forti. Una voce urla disperata: "Father, why have youn forsaken me?" E subito si scatena l'inferno; chitarre diaboliche e una batteria sparata sembrano dire che l'implorazione non riceverà alcuna risposta. Così si apre Once Upon The Cross, terzo sacrificio dei Deicide (quarto, se consideriamo anche i due demo ristampati dalla Roadrunner nel '93). La congrega guidata da Glen Benton non ha bisogno di alcuna presentazione: grazie al loro sound truce ma "quadrato", quasi mai caotico, e grazie anche a lyrics e dichiarazioni oltraggiose (quanto ridicole), i Deicide si sono imposti sin dagli esordi all'attenzione del pubblico metal più esoterico e sono noti ormai anche a chi non è iniziato al death. La loro popolarità, tuttavia, è decisamente diminuita in questi ultimi anni: colpa soprattutto di una proposta musicale pressoché immobile che è uscita dalle orecchie un po' a tutti. La cosa comunque sembra non turbare per nulla i nostri, che continuano a riproporre stancamente le sonorità di pietre miliari come l'eponimo debutto o Legion. O come Once Upon The Cross, appunto, senz'altro uno degli episodi più validi della discografia della band floridiana. Nove tracce per ventinove minuti scarsi: un album molto breve eppure non così sparato come ci si potrebbe aspettare. Anzi è il caso di dire che in Once Upon The Cross a farla da padrone sono proprio i mid-tempos, che la band alterna sapientemente a repentine accelerazioni. Ciò trova conferma già nella title-track: dopo una sfuriata iniziale, la canzone si dipana in tempi medi per poi riaccelerare improvvisamente nei pressi del chorus. Altri pezzi seguono più o meno la stessa dinamica, ad esempio la successiva Christ Denied, che nel complesso è più cadenzata e si fa ricordare per il riffing tagliente. Oppure la furiosa Kill The Christian: anche qui un pre-chorus molto veloce lascia spazio ad un ritornello "doomy" e profondo (non certo a livello testuale, naturalmente!).

A questo punto va però detto che una recensione track-by-track è fondamentalmente inutile, data la compattezza del disco (che non va confusa con la monotonia); meglio concentrarsi sulle prestazioni dei singoli componenti. Ottima dunque la prova di Steve Asheim, uno dei migliori batteristi death, che crea un vero e proprio labirinto di controtempi particolarmente intricato in songs del calibro di Confessional Rape o Trick Or Betreyed. Per non parlare della terremotante Behind The Light Thou Shall Rise, in cui al consueto muro di doppiacassa si sovrappongono incessanti rullate marziali.
Da parte loro, Eric e Brian Hoffman danno vita ad un'ininterrotta colata lavica di riff torbidi e malvagi; impossibile resistere a When Satan Rules His World, con il suo incedere presuntuoso, a They Are The Children Of The Underworld, caratterizzata da perfetti incroci tra linee chitarristiche e vocali, o ancora a To Be Dead. Gli assoli, per quanto essenziali, riescono ad essere evocativi e allucinati.

A concludere il tutto c'è il growl di Glen Benton, belluino e catacombale per quanto più omologato rispetto al passato. In alcuni momenti, come all'inizio della title-track (quando ruggisce: "Fear him, fear him, fear him . . . Satan"), il vocalist dei Deicide adotta un caratteristico tono salmodiante e ossessivo, una specie di versione blasfema dei canti che vengono intonati durante le cerimonie religiose. E in effetti, ascoltando Once Upon The Cross, pare davvero di trovarsi nel bel mezzo di una macabra adunanza di invasati. Per quanto riguarda i testi direi che non vale la pensa spendere troppe parole: si tratta semplicemente, come sappiamo tutti, di un'accozzaglia di assurdità sulla vittoria finale dell'Anticristo e lo sterminio dei cristiani che non dice nulla nemmeno a chi nutre interesse per tematiche oscure o esoteriche. Puri e semplici deliri privi di qualsiasi valore intellettuale, insomma, che però - ci tengo a sottolineare questo punto - non bastano a liquidare una proposta musicale che è (o meglio era) oggettivamente molto interessante. Tirando le somme, Once Upon The Cross è un lavoro compatto e senza cadute di tono in cui emerge tutta la perizia tecnica dei Deicide. (E anche tutta la loro genialità, dato che all'epoca non erano ancora le bruttecopie di se stessi). Un capolavoro, forse l'ultimo grande album di una band la cui attitudine esageratamente incompromissoria ha impedito evoluzioni davvero significative.

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