Ho conosciuto i Deicide, e ho iniziato a farmi un'idea di quelli che erano i lati più estremi dell'heavy metal, intorno al 1995, grazie al classico compagno di scuola fan del genere che mi passava le allora "cassette" con le sue compilation delle sue band preferite... vagamente avevo un certo sospetto del fatto che potesse esistere una frangia più diretta e violenta di uno stile che accomunavo sino a quel momento ai noti Metallica, Iron Maiden e Megadeth, ma non ne avevo ancora toccato con mano la brutalità e la potenza imprigionata. Di quelle compilations, che hanno allietato per diversi anni i miei momenti "aggressivi" rilassandomi con le intemperanze dei vari Cannibal Corpse, Slayer, Death, MZ412 eccetera, i Deicide erano sicuramente quelli che mi colpivano di più, mi arrivavano dentro lo stomaco fino ad uscirmi dal buco del culo.

Mi ricorderò tutta la vita titoli e canzoni come "Carnage In The Temple Of The Damned" e "Satan Spawn The Caco-Daemon", quasi con affetto. Dopotutto, credo che sia importante attraversare una "fase metal" nella vita di ciascuno, e anch'io ho avuto la mia: non ho ancora capito il motivo per cui la mia predilezione è sempre andata verso i generi più smaccatamente duri e quasi anti-melodici, forse perché nel loro contesto li vedevo come dei calci in faccia volanti alle smancerie dei Dream Theater o dell'immondo epic metal. Dicevo dei Deicide, dunque. Gruppo noto, notissimo, non c'è bisogno di aggiungere, o di ripetere, quanto è già stato detto su questo sito da altri utenti che senza ombra di dubbio "sentono" il death metal molto più di quanto lo possa sentire io, semplice ammiratore esterno. Era giusto però parlare anche di un lavoro che non è certo tra quelli da ricordare nella carriera della discussa band della Florida, soprattutto perché veniva dopo tre dischi che avevano ridefinito i connotati di un intero genere musicale e cambiato le sembianze dell'immaginario metal portandolo forse alle estreme conseguenze "estetiche" e concettuali, mai del tutto mitigate nonostante il susseguirsi di polemiche che invasero i media proprio a metà degli anni '90, quando realtà come quelle dei Deicide uscirono definitivamente dal culto per arrivare nei banchi di scuola degli studenti liceali, compreso il mio.

Così "Serpents Of The Light" del 1997 è il primo album di metal estremo che ho ascoltato dall'inizio alla fine e probabilmente è per questo motivo che non sono diventato anch'io un seguace del genere... a volte l'imprinting è importante, soprattutto nell'adolescenza. Riascoltato oggi, dopo avere conosciuto lavori di ben altra fattura all'interno dello stesso genere (e all'interno della stessa carriera dei Deicide) si può capire anche la mancata evoluzione di questo genere musicale, che si è arenato su sé stesso proprio perché incapace di potersi esporre a un allargamento di vedute, a un proseguimento di un discorso coerente: perché il discorso è sempre stato quello. Interessante, ma dopo un po' monotono. Eppure eppure, nella bruttezza esplicita del growl di Glen Benton e nella truculenza di brani come la title track o della fantastica "Bastard Of Christ" (uno dei cavalli di battaglia della band), si può intravedere lo spiraglio di una forza vitale che va al di là del terrificante senso di morte e distruzione che erroneamente viene attribuito a progetti come questo. In realtà le trivellate di pugni in faccia, in pancia, e i calci nei coglioni che queste canzoni riversano sull'ascoltatore (anche se in questo caso molto spesso in modo prevedibile e manieristico) nascondono un personalissimo punto di vista per nulla vicino alle buffonate sataniche che si suppone siano l'unico messaggio dei testi che le accompagnano.

Il punto di vista dei Deicide viene chiarito in maniera quasi esplicita, tanto da non dover quasi ammettere altre delucidazioni: i profeti mentono, non spendere la tua vita in balia di un sacrificio che ti porterà solo ad essere ancora una volta servo, ribellati alla tua condizione di uomo schiavo della macchina. I concetti, resi in maniera ovviamente molto meno "politica" vengono sbattuti nelle orecchie di chi ascolta in mezzo a riff che macinano morte e sofferenza, ma è una sofferenza di chi confida nella propria rabbia per rovesciare una medaglia che non è mai caduta dalla propria parte. Potrei quindi affermare che nelle canzoni dei Deicide ("Blame To God" ne è un esempio), la ribellione contro Dio altro non è che una gigantesca metafora della vita, una estremizzazione della rivalsa sociale posta su una scala biblica, in cui non a caso a farla da padrone sono degli slogan, quasi come se ogni brano, all'incidere non di una marcia ma di una cavalcata dentro gli inferi, fosse una sorta di manifesto.

I Deicide a modo loro sono dei "working class hero", e Glen Benton è la rappresentazione, alle estreme conseguenze (a volte caricaturali), della frustrazione e del senso di repressione dell'uomo contemporaneo... la riflessione contro la religione è solo un aspetto di tutta una serie di considerazioni che si potrebbero fare ma che per motivi di tempo devo lasciare in sospeso. E siamo comunque nello stesso territorio (minato) di gente come Nietzsche e Martin Lutero. Prima di mettere i puntini di sospensione, mi viene da porvi una domanda: nell'arte (e quindi anche nella musica) è possibile odiare Dio ma contemporaneamente volerlo scopare?… … … … … Ed è meglio regnare all'inferno o essere schiavi in paradiso?

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