La conferma di un nuovo, sorprendente ciclo, oppure ennesimo flop?
La domanda sorge spontanea e la risposta sembra ormai scontata.
I Deicide, band seminale nell'ambiente del metal estremo, pubblicano il nuovo album dopo quel piccolo gioiello di violenza sonora che era "The Stench of redemption". Il nuovo disco, dal titolo "Till death do us apart" sembra un deja-vù di situazioni passate, quando i Deicide erano capaci di pubblicare album dall'enorme qualità come "Legion", alternati da clamorose cadute come il ridicolo "Insineratehymn" o il peggiore "In Torment, in hell".
Per fortuna Benton e soci erano riusciti nuovamente a rialzarsi, prima con "Scars of the crucifix" e poi con il sopracitato "The stench of redemption", che rappresentava appunto una sorta di rivoluzione: più melodia, più epicità nei soli anche grazie al magnifico lavoro di Santolla (axeman ora in forza agli obituary) e di Jack Owen, ex Cannibal Corpse.
Ora ho tra le mani questo nuovo lavoro. A parte la copertina, che affascina per quel senso artistico e pittorico che possiede (è infatti un vero quadro) la musica sembra essere un notevole passo indietro, soprattutto se si pensa che questo album era stato annunciato come il ritorno alla violenza di "Legion" e sopratutto perchè le menti sono le stessa che hanno partorito canzoni come "Crucified for the innocence" o "Homage for Satan". Ci troviamo davanti un disco godibile per pochi spunti degni di nota, pochi riff azzeccati e pochi brani lodevoli, per poi sprofondare in una musica e in canzoni che fanno della monotonia e della ripetitività il proprio punto di (non)forza.
Partirò dagli elementi traballanti di un disco uscito male al 70%, a partire da certe idee che servono più a riempire il disco e farlo sembrare un album dal minutaggio decente, come il continuo servirsi di intro strumentali che servono poco all'economia delle canzoni. Errato e prevedibile lo schema-canzone che permea tutto il disco: i brani si presentano con ritmi lenti e cadenzati con riff ripetuti sino allo sfinimento e alla noia con gli assoli melodici di Santolla che, ad onor del vero, risultano meno decisivi che in passato, lasciando immutata la qualità complessiva dei brani, che rimane su una sufficienza stentata. Pochi i momenti che sembrano ricordare i fasti e il talento di un gruppo così storico, parlo della title track, episodio riuscito al 100%, e le due accelerazioni di "Horror In The halls of stone" e "Angel of Agony".
Ciò che rimane del disco è la sensazione di incompiutezza e di mezza delusione. D'altronde, io non mi aspetto nient'altro da una band il cui frontman è un ex eroe del metal estremo, occupato più della sua vita privata che non del suo lavoro, e che lascia tutto il compito della composizione al batterista Asheim. Una band che non si prodiga nemmeno più alla promozione, neanche in sede live, forse l'aspetto più importante per ogni musicista che si rispetti.
Un disco esclusivamente fatto in studio di registrazione e non per esser suonato live, questo è il primo punto.
Il secondo punto è invece ciò che rappresenta: un pauroso segno che il giocattolo potrebbe rompersi (o forse già s'è rotto), senza più motivazioni o stimoli che possano fare dei Deicide una macchina musicale degna di nota.
Aspettando il prossimo lavoro, sempre se vedrà la luce, giudico questo "Till death do us apart" come la nuova, ennesima delusione da parte dei 4 del Deicidio.
Carico i commenti... con calma