Da anni a questa a parte, diciamo dagli ultimi anni Novanta, gli appassionati di death metal sanno già, ad ogni uscita discografica dei Deicide, che cosa aspettarsi: nel migliore dei casi un album che offre un'appagante dose di brutalità senza però discostarsi molto dagli stilemi dei primi dischi incisi da Benton e compagnia, nel peggiore un prodotto fiacco, un simulacro dell'antica potenza della band, un death ovviamente veloce e aggressivo ma privo di quell'aura nefanda e dei miasmi sulfurei che avevano segnato gli esordi dei nostri. Se tutto ciò sia un bene o un male è una questione soggettiva: gli ascoltatori in cerca di sonorità nuove, convinti che il metal estremo debba aprirsi ad altre soluzioni e imboccare la via della sperimentazione per evitare l'asfissia, avranno probabilmente mollato i Deicide da tempo, mentre i fan della prima ora, gli amanti del death floridiano duro e puro, continueranno a rinnovare il patto con la setta di Glen Benton. Se appartenete a quest'ultima schiera di deathsters, "To Hell With God" sarà senz'altro di vostro gradimento.
Il cd si presenta curato fin dall'immagine della copertina (opera degli artisti del Grim Twins Studio), "molto ‘bbrutal", una vera figata se avete meno di quindici anni: raffigura, come recita il titolo, Cristo all'inferno, stagliato contro un cielo in fiamme e circondato da un'orda di allegri scheletri-zombie in compagnia dei quali, possiamo certamente immaginare, vorrebbe trovarsi l'amico Glen, che già vent'anni fa andava berciando "in hell I burn" (per dire quanto è cambiato l'immaginario).
Diciamo subito che grosse innovazioni non ce ne sono, rispondono all'appello pressoché tutti gli elementi del tipico sound dei Deicide (quello, per capirci, cristallizzato in opere quali "Once Upon The Cross"), dai blast beat alternati a mezzi tempi (vero marchio di fabbrica dei nostri) sorretti dall'onnipresente doppia cassa, ai riffoni serrati e minacciosi, il tutto "empowered by blasphemy", corroborato dai testi iconoclasti e ferocemente anticristiani di Benton, la cui voce, modulata ora in un ruggito cavernoso ora in un affilatissimo scream, riesce ancora reggere il confronto, nonostante i quaranta e passa anni di età, con le nuove leve del metal estremo. Per quanto riguarda invece le lyrics vergate dal buon Glen, non ci sono sottigliezze particolari, siamo lontani dai testi più pretenziosi che potrebbe buttar giù un Sanders o un Nergal; l'approccio è sempre lo stesso, ruvido e scellerato, votato più a fanculare i poveri cristiani ("fuck your god's convinction...") che a discettare su antiche mitologie egizie o sumere.
Tuttavia, se non ci sono ingredienti nuovi in aggiunta al solito intruglio preparato dai nostri ci sono di sicuro quella freschezza e quel minimo di inventiva che permettono quantomeno di distinguere una canzone dall'altra, un album dall'altro, benché si percepisca distintamente, in alcuni momenti, una sensazione di déjà vu. Merito soprattutto di un Asheim particolarmente ispirato nel songwriting, affiancato da Jack Owen (per i meno informati, il chitarrista dei Cannibal Corpse dalla fondazione al 2004) nella composizione di alcuni brani, come l'ottimo "Angels Of Hell", permeato da un certo qual groove che non è così facile sentire in un pezzo dei Deicide. Tra gli episodi che si fanno ricordare sin dai primi ascolti menzionerei la title-track (molto potente e forte di un chorus trascinante), "Convinction" (scritta da Owen), la già citata "Angels Of Hell", "Witness Of Death", "Hang In Agony Until You're Dead" -- ma tutto il disco è, nella sua compattezza, su buoni livelli. Per avere un esempio del sound di quest'album si prenda la conclusiva "How Can You Call Yourself A God": la canzone si apre con un accordo dissonante sovrastato dallo shredding melodico di Santolla per poi dipanarsi lungo ritmi thrashy che, a intervalli regolari, accelerano al parossismo, passando per un ritornello in cui Benton declama ossessivamente il suo perfido slogan. Ciò che più convince è comunque la cattiveria e la compattezza con cui suonano i nostri, complice una produzione estremamente nitida, capace di dare il giusto spessore ad ogni strumento, sottolineando il maelstrom di chitarre e percussioni senza però far annegare la voce e il basso.
"To Hell With God" è dunque un lavoro godibile (come dicevo all'inizio, uno di quegli album che, senza offrire grandi innovazioni, regala qualche buona idea e un po' di sana ferocia), dotato di un buon appeal e del giusto smalto, ed è pure una piacevole conferma della buona strada imboccata dai nostri dopo la svolta di "The Stench Of Redemption". I Deicide, va detto, non sono certo i portabandiera del movimento, non si trovano più in prima linea né sul fronte della brutalità pura né tanto meno su quello della sperimentazione o della commistione con altri generi; tuttavia, se è giusto che anche il death metal abbia le sue band storiche, capaci di portare avanti con rinnovato vigore lo stile delle origini, di esercitare una forte attrattiva sul pubblico e di far discutere gli appassionati, i diabolici Deicide possono benissimo incarnare questo ruolo, e "To Hell With God" è qui a dimostrarlo. Il voto complessivo è un sette pieno, arrotondato per difetto nella pallinatura.
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