A primo acchitto il mondo mainstream pare un immenso calderone di artisti sfornamusica, il trionfo del music biz commerciale adattissimo a pisolare eternamente sui gradini più alti delle charts, la valanga di album, dischi e dischetti dalle sfumature, colori, sapori e odori iper variegati. In realtà non è proprio così. Persino nel reame delle major gli scatoloni pop glitterati cominciano presto a diventare stantii, desueti e superati e chi - pur godendo di tali produzioni - non accetta di autodistruggersi nel lungo periodo con i soliti tormentoni-purga è costretto a varcare il limbo del contesto underground, oppure (molto semplicemente) cerca vie secondarie alle vomitevoli cantilene da spiaggia. Oggigiorno peraltro risulta spianata una fittissima rete autostradale di artisti, prodotti e suoni non inflazionati e altrettanto poco intenzionati al compromesso con la massa informe e facilona; dunque, perché non imbattersi in un mondo dove non esistono barriere commerciali, concorrenza spietata, numeri di vendita e frenesia da showbiz?
All'interno di questo fantasioso parco giochi del sound potrebbe ritagliarsi un piccolo praticello rigoglioso la giovane Delilah. Inglese, classe 1990, con un ricco curriculum etnico, Delilah è membro effettivo della cricca underground-alternative che ruota attorno al duo elettro-grime Chase&Status: la ragazza difatti, ben prima di dare alle stampe il suo album di debutto From The Roots Up, ha prestato la sua collaborazione per il singolo Time e ha contribuito come songwriter per artisti e produttori emergenti e non. Delilah comunque non è unicamente l'ultima delle voci aggraziate scelte per arricchire - a scopo puramente commerciale - un pezzone house-techno-dubstep et similia (Guetta e soci docent), bensì una giovincella che ha scelto la strada del pop di classe, curato nei particolari e non negli artifici più bizzosi, ricco ma senza aberrazioni estetiche, compatto eppure privo di travisamenti sonori. From The Roots Up, diffuso solo da pochi mesi or sono, è appunto un'interessante creazione pop semplice, equilibrata e al contempo sfaccettata e articolata, un mix di elettronica, ambient, strumentale, R&B, trip-hop, soul e ambient perfettamente e reciprocamente maritati in un originale connubio che nulla ha a che vedere con la sfacciataggine glitch-brillantinata odierna.
L'album si smarrisce a più riprese in momenti intimistico-onirici da atmosfera soffusa e surreale: Breathe alterna improvvisazioni ambient e tinteggiature R&B melodiche, Disrespect si immerge in un'ascetica sinusoide di climax synth-tribali, Never Be Another sposa egregiamente il classicismo soul e il modernismo elettronico-trance. Leggermente satura di inquietudine e mistero è poi la composizione gothic trip-hop di I Can Feel You, incontra le propaggini funky-rock Only You, flirtano il minimalismo simil-Adele le ballad solo piano Tabitha, Mummy And Me e Cinnababy; gran prosecuzione, infine, la spiritualità ethnic-ambient à la Bjork effusa dalla magistrale perla Inside My Love e le sperimentazioni onirico-sintetico-tribali per la cupa Go e So Irate.
Denso, pepato, profondo, variegato, vasto e multisfaccettato, From The Roots Up introduce una possibile futura madrina della buona music, ancora lontana dal botto commerciale, dai contratti ipermilionari e dai vezzi capricciosi e viziati/viziosi delle popstar a dieci zeri. Alla cara/brava Delilah non serve però la spregiudicatezza della stralette per ambire al titolo di reginetta dell'angolino d'oro del pop, di quel ricco corner of wonders al contempo ignorato e lusingato, estromesso e ricercato, esodato dalle top 100 e ammesso all'ambito tavolo della qualità.
Delilah, From The Roots Up
Never Be Another - Breathe - I Can Feel You - Shades of Grey - Only You - Inside My Love - 21 - Go - So Irate - Love You So - Insecure - Tabitha, Mummy and Me - Cinnababy - See You Again - Disrespect.
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