Sono passati diversi anni dalla mia ultima recensione (spero di non essere troppo arrugginito) e tante cose sono cambiate sia in me che nel mondo della musica. Fino a 8 - 10 anni fa dovevi farti prestare l'album da un amico o leggere una recensione per capirne di più, adesso basta andare su Youtube e ascolti direttamente l'album. Forse le recensioni per molti lasciano il tempo che trovano, non lo so, ma una cosa è certa: non è cambiato nulla in quanto a passione mia e dei DeUsers per la musica di tutti i generi e in particolare il metal. Purtroppo non è cambiata nemmeno la pigrizia di certi lettori che nei commenti parlano della lunghezza eccessiva di alcune recensioni, opinabile e personale percezione, ma che mi lasciano incuriosito su come si faccia a non trovare 2 minuti per leggere una recensione, ma a trovarne 50 per ascoltare l'album.
Da tempo mi sono avvicinato a quello che viene definito "white metal" (che come ben sapete non è altro che metal con testi ispirati alla fede cristiana!) e tra i vari esponenti di spicco degli ultimi 10-15 anni, trovano spazio i Demon Hunter, band formata nel 2000 dai fratelli Don e Ryan Clark all'ombra della Space Needle in quella Seattle che negli anni ha visto formarsi, tra le altre bands di un certo calibro, gli Alice in Chains, i Nevermore e i Foo Fighters, ma che soprattutto ha dato i natali alla leggenda Jimi Hendrix!
Non voglio fare un song-by-song ma ci tengo a sottolineare i tratti più importanti di "Extremist". Apre l'album “Death”, che parte con il canto in latino "mors, obitus, decessus" per continuare con un incedere cupo e carico di pathos. La successiva “Artificial Light”, con delle belle linee tracciate dalle chitarre e con ottimi cambi ritmici, si attesta quale una delle migliori dell'album. I riffs mantengono alta l'attenzione dell'ascoltatore e risultano ben bilanciati per tutta la canzone, amalgamandosi con il cantato in screaming aggressivo delle strofe e dei pre-choir, che passa ad un clean vocal nei ritornelli.
Brani come “One Last Song”, “Cross to Bear”, “In Time” e “Beyond Me”, presentano sonorità che affondano a piene mani nel repertorio più metallico della band e mettono alla luce le loro maggiori influenze (In Flames e Soilwork su tutti!) sia a livello musicale che sul cantato alternato scream/pulito di Ryan. Ottimo il livello delle composizioni, la freschezza dei riffs e la personalità della band che ricoprono tutto come la glassa su di una torta, deliziose metal tracks.
Il resto dell'album presenta una collezione di riffs veramente interessanti, di notevoli assoli eseguiti magistralmente (per la maggior parte da Patrick Judge) e di ottimi cori. Quasi tutti i brani presentano l'alternanza classica tra power riffs e aggressività musicale con tratti più lenti e melodici come sempre la band ha fatto. Il cantato varia spesso da scream a pulito con passaggi sempre ottimi e ben controllati.
Nonostante l'album non si stacchi eccessivamente dal passato della band, ci presenta meno brani veloci e più ballads rispetto al precedente “True Defiance”, nulla da eccepire sulla scelta anzi, la mia è una mera constatazione. Detto questo trovo questo album un concentrato di evoluzione musicale e che non manca di creatività.
Mai hanno nascosto la loro fede e anche in questo album mettono i puntini sulle "i" in canzoni come “The Last One Alive” (una mid tempo orecchiabile e di facile ascolto) dove Ryan dichiara a gran voce di preferire essere l'ultimo cristiano sulla terra che un non credente qualunque o in “Gasoline” (lenta ballad che si "trasforma", ascoltare per credere), una risposta a chi li ha sempre criticati per essere cristiani.
Sullo stesso filone è da notare la splendida ballad “I Will Fail You”, che mette in mostra le doti vocali di Ryan che con la sua voce baritonale e pulita riempie le nostre orecchie del suo tono limpido e corposo. Nel testo Ryan ricorda a se stesso e a noi, con una certezza estrema, che siamo tutti umani e che sbagliamo e prima o dopo falliremo nel mantenere le aspettative che altri hanno su di noi.
"Extremist" risulta nel complesso un album godibile già al primo ascolto sia per chi li sente per la prima volta sia per i fans di vecchia data. Album che certamente non posso considerare una pietra miliare, ma resta una buona scelta per chi ha voglia di ascoltare un album pregno di molteplici influenze stilistiche che spaziano dal più classico death metal moderno di influenza europea, a brani più lenti e riflessivi fino ad altri tratti con alcune sonorità più orientate al metalcore o all'alternative e in certi casi toccano quasi il nu-metal. Chiaramente d'obbligo almeno l'ascolto per i vecchi fans (che peraltro penso posseggano già l'album da qualche mese!) che non rimarranno delusi.
I Demon Hunter ci fanno sentire che si stanno evolvendo, ma ci ricordano anche che la locomotiva è sempre quella, il treno sta correndo sugli stessi binari e ogni tanto variano un po' la velocità di marcia.
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