Dune è una saga complessa, ampia, a lungo maledetta cinematograficamente parlando, che oggi vede il secondo capitolo del colossale progetto di Denis Villeneuve di riportare in auge e, finalmente, dare una degna versione in immagini all'opera di Frank Herbert.
A lungo attesa e infine anche rinviata per via dello sciopero degli sceneggiatori, ecco ora Dune parte due.
La tematica religiosa in questa seconda parte, dopo essere stata accennata, seppur in modo significativo, nella precedente, qui viene messa al disopra rispetto a tutto il resto e diventa preponderante. E assieme ad essa quindi i fanatismi, la disperata ricerca/attesa di un Profeta, che riporta a riflessioni sociologiche e antropologiche eterne. Problematiche legate alla Fede, al potere e al controllo dei popoli (la religione è l'oppio - o la spezia, in questo caso - dei popoli, diceva qualcuno...), al proselitismo e alla rivolta che sono proprie di qualunque epoca nel corso della Storia, e che Herbert vide come possibili anche nel lontanissimo futuro che aveva immaginato nella sua saga.
L'eletto, il Messia, un uomo che possa unire tempo e spazio, passato e futuro.
Tematiche che, invero, Villeneuve aveva accarezzato già in Blade Runner 2049, in cui la figlia naturale di Deckard e Rachel avrebbe potuto ispirare il cambiamento e la riscossa per uomini e replicanti.
Il controverso sequel del capolavoro di Ridley Scott resta l'azzardo della carriera del regista canadese, il suo grande fallimento (non per colpe unicamente sue, comunque) ma ad ogni modo un film che aveva al suo interno degli spunti interessanti di riflessione, dati da una visione del futuro sempre più disumanizzata e, a tutti gli effetti, post-umana. Un futuro di ologrammi e solitudine, profitto e simulacri. Che sarà il nostro.
C'è quindi una continuità spirituale e tematica nell'opera di Villeneuve, che pur non essendo un autore in senso stretto, ha interessi ricorrenti, come anche l'idea del Destino: il suo capolavoro, il suo più grande film in assoluto resta tutt'oggi Arrival. L'accettazione del proprio destino ineluttabile, a seguito di sogni e/o visioni rivelatorie, è la base del percorso della science fiction villeneuviana.
Science fiction, a differenza del termine italiano fantascienza, è infatti più adatto a descrivere un genere in cui la narrativa è al servizio di scenari futuri ormai sempre meno fantasiosi ma anzi, possibili se non vicini alla prossimità.
Comunque la si pensi, quella di Villeneuve è quindi una visione estremamente filosofica, coniugata all'imponenza e alla spettacolarità che ne sono al servizio, e che in questi suoi Dune trovano una dimensione quasi inedita.
I vermi del deserto, le scene di massa di guerra e battaglia, la messa in scena di cerimoniali e rituali di una aristocrazia universale di ritorno, di schieramenti: tutto in Dune è impressionante, e nella parte due ancora più che nella prima.
Ma tutti questi aspetti diventano di contorno se confrontati a quello principe, come si diceva, del Culto messianico che condurrà al Paradiso.
Oltre a tutto questo, Dune è inoltre un'epopea politica: un universo di grandi casate, dallo stile piramidale e legate all'ideale della discendenza di sangue, in contrapposizione l'una all'altra e all'egualitarismo di un popolo come i Fremen, combattente e forte del rapporto di profonda conoscenza della propria terra, e soprattutto del Deserto. Un rapporto simbiotico con le sabbie e con il pianeta che, prima che venisse colonizzato, si chiamava Dune.
Il miglior personaggio resta Lady Jessica, ora Reverenda Madre: ambigua, né totalmente positiva né totalmente negativa, perfettamente in equilibrio tra interessi politici e spirituali.
Dispiace per non aver visto appieno sfruttato l'immenso potenziale di uno dei più affascinanti villain contemporanei come il Barone Vladimir Harkonnen, ma qui a rubare la scena è il nipote Reyd-Rautha, interpretato dall'irriconoscibile Austin Butler e, nella disgraziata versione lynchana, da Sting.
Dune ci accompagnerà per ancora molti anni prima che venga compiuta, completata anche per il cinema.
La parte due di questo immane colosso mi ha entusiasmato a tratti, laddove la prima l'aveva fatto interamente. Dal punto di vista dell'impatto scenico, come dicevo, riesce addirittura a soppiantare il precedente, ma perde il fascino da racconto di formazione e di introduzione e scoperta di mondi che rendeva indimenticabile il primo capitolo.
Villeneuve cede inoltre alla tentazione di mettere qualche cliché di film action mainstream, alcune battutine di troppo e le scene sentimentali tra Chalamet e Zendaya piuttosto stucchevoli, ma al netto di questi difetti anche questo primo sequel resta una grande esperienza cinematografica.
Villeneuve per quanto mi riguarda è il miglior regista mainstream e di blockbuster di oggi, anche superiore a Nolan.
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