Credo che sotto diversi aspetti mi si potrebbe benissimo definire come quello che poi sarebbe in qualche modo una specie di maniaco del controllo. Niente che faccia di me un caso clinico e/o particolare. Diciamo che la definirei invece niente altro che una forma di sicurezza. Quello che voglio dire, per esempio, è che molto probabilmente non mi fiderei mai di attraversare un ponte di corde. Perché dovrei del resto. Sicuramente, se c'è un fossato, ci deve essere una qualche ragione speleologica, e comunque ci sarà per forza di cose un modo migliore e più sicuro per attraversarlo. Un modo dove in ogni caso tu sai esattamente dove stai mettendo i tuoi piedi, passo dopo passo, fino a raggiungere la destinazione.
Vi capita mai di parlare con un amico, un conoscente, un parente, la vostra ragazza o il vostro fidanzato, di un film (oppure di un libro, ma da adesso in poi parlerò solo di film per evitare ridondanti ripetizioni e facilitare la lettura e la comprensione dei contenuti che mi propongo di esporre) e a un certo punto sentirvi richiamare, parlo di una specie di ammonimento del tipo che il vostro interlocutore si porta le mani a coprire le orecchie e dice, 'Non ti sento, la la la...', e essere praticamente soggetti alla richiesta di non andare troppo a fondo nella narrazione. Di non svelare troppi dettagli e - ovviamente - il finale. Questo perché, è chiaro, la maggior parte delle persone vogliono godere della sorpresa di ogni singolo momento. Questo continuo vivere esperienze momento per momento e fino al finale, costituisce per tutti loro uno dei motivi fondamentali per cui guardare un film. Anzi, è la ragione fondamentale, forse unica per cui farlo. Se gli dite come finisce, gli avete rovinato la visione. Li avete menomati.
Ecco. Io, invece, non sono così. Che non significa io sia migliore, né - mi auguro - tantomeno peggiore di altri. Io sono interessato a sapere la trama di un film, persino i suoi particolari e il finale e questa cosa non mi rovinerà, né costituirà mai un impedimento a procedere nella visione. Anzi. Perché? Perché io voglio sempre sapere come vadano a finire tutte le cose. Probabilmente questo è dovuto alla mia incapacità generale di saper vivere e godere del singolo momento e per questo di un film riesco alla fine ad apprezzarne solo l'intero contenuto (inteso come vero e proprio insieme) e in una maniera che definirei lo svolgersi di un processo di immedesimazione totale e quindi di autoanalisi, come se alla fine volessi impossessarmi dei contenuti. Anzi, voglio proprio impossessarmene. Voglio che il flim sia mio. Deve essere mio. Perché evidentemente solo così riesco a sentirmi al sicuro. Solo in questo modo riesco veramente a dare un senso alle cose. A margine, prima di entrare in media res, credo che sia questo a non farmi preferire la poesia o il racconto e arti come la pittura o la scultura. Sono cose che data la loro 'dimensione' infatti mi sfuggono tra le mani. Non riesco a possederle e di conseguenza non riesco ad apprezzarle in tutta la loro meraviglia. Non mi definirei tuttavia un tipo possessivo, non sono così attaccato alle cose come alle persone, al contrario sono per lo più un solitario. Probabilmente mi comporto così proprio perché è da queste cose che poi ricerco una specie di compagnia attraverso questo processo di identificazione che poi - chi lo sa - magari è anche una forma di autocompiacimento. Una specie di masturbazione.
Lasciamo perdere e parliamo di cose più importanti, cioè di questo film, una produzione US indipendente del 2015 e scritta e diretta dal regista Dennis Hauck, e che come genere si va a configurare apparentemente come quello che potrebbe essere a tutti gli effetti un vero e proprio thriller. Voglio dire, in primo luogo ci sono chiaramente un mucchio di uccisioni e la presenza di personaggi della malavita, ci sono ricatti e minacce di estorsione e assassini completamente fuori di testa. Ma tutto il flim in generale è permeato da quella che definirei una certa violenza, che è anche e forse soprattutto concettuale e come tale estesa in tutte le vicende e le scene del film, persino nei dialoghi, qualche cosa comunque cui anche se il protagonista ricerca di sfuggire, finisce invece con il portarsi inevitabilmente dietro, come se fosse essa stessa - la violenza - una parte di se stesso, una specie di ferita che ogni volta che si cicatrizza, è per forza di cose sempre destinata a riaprirsi. Che è peggio che come se rimanesse sempre aperta del resto. Perché significa che puoi credere a un certo punto di esserne fuori e invece poi ti ritrovi lì a toccare nuovamente il fondo e allora infierisci su te stesso, ti gratti la ferita, quella 'crosta', e scopri la tua vera natura e ricominci a sanguinare.
Il protagonista della storia, interpretato magistralmente da John Hawkes (che bravo!), che vi giuro sembra veramente una giovane copia sputata di Harry Dean Stanton (cui, chi lo sa, forse cerca anche di imitare in qualche modo e perché no), è quello che in un film dipinto con tonalità così noir e ambientazioni insane, non può che essere altro che un tipico investigatore privato. Il suo nome è Sampson, semplicemente Sampson, ed è quello che si potrebbe chiaramente definire una figura tipica del genere così come delineata agli albori da Raymond Chandler e poi sviluppatasi negli anni in alti episodi del mondo della letteratura e del cinema. Sampson è un tipo solitario, che ha un sacco di conoscenze ma praticamente nessun vero amico e/o frequentazione abituale. Che poi in fondo è quella che è una situazione umana più diffusa di quello che si possa pensare: la reale condizione dell'essere umano in questa società globale. Guadagna pochi soldi e ride poco, ma ha spesso e volentieri una specie di aria beffarda dipinta sul volto e l'aspetto di chi la sa lunga. Quando serve, picchia duro. Apparentemente piace alle donne, ma ogni sua relazione e rapporto umano è destinato per forza di cose a andare in puttane. Frequenta night club, spogliarelliste e prostitute, cantanti misteriose quanto affascinanti, ma non è quello che si definirebbe uno che vada alla ricerca di sesso facile. Quello che cerca è apparentemente compagnia, qualcuno con cui parlare o semplicemente ascoltare della musica che per lui abbia emotivamente un senso. Ricerca apparentemente delle emozioni, delle sensazioni positive, ma queste su di lui hanno forse lo stesso effetto che quella violenza che abbiamo già richiamato e tutto questo mentre in qualche modo si costringe a nascondere a se stesso per primo la verità.
Vi potrei dire che la trama del film stia tutta qui e in questo caso, io almeno, non sarei impreciso, né vi avrei detto alcuna bugia. Avrei detto la verità, nien'altro che la verità e magari già suscitato abbastanza il vostro interesse e senza svelare altro della trama e dei 'perché', ma questo film, che poi si intitola, 'Too Late', e nessun titolo avrebbe mai potuto essere azzeccato per una storia così dura e alla fine drammatica (dove l'elemento drammatico alla fine supera quello pulp e svela forse la reale natura drammatica, persino tragica del genere hard-boiled), dove tutto quello che succede, le vicende e gli avvenimenti del protagonista (e non solo, anche se appare essere lui a trascinarsi dietro tutta questa tragicità) si verificano sempre troppo tardi. Qualche volta a causa sua. Altre volte a causa di circostanze che possono non dipendere direttamente dalla sua volontà . Altre volte perché è così. Perché così va la vita.
L'elemento di base, quello di partenza e da cui scaturisce tutto il succedersi degli eventi della trama, sta, come nella migliore tradizione del genere, in quello che è ovviamente un delitto. Un omicidio e cui Sampson viene chiamato a indagare già prima che questo avvenga e dalla telefonata di quella che è una sua vecchia amica. I dialoghi e le ambientazioni del film hanno comunque quasi sempre qualche cosa di etereo, di sfumato e mai sono definiti con contorni precisi e questo non perché è come se si volesse dare alle singole scene quella parvenza di 'sogno', ma forse perché tutto quello che succede è in qualche modo visto secondo l'ottica di Sampson, è come tale annebbiato dal dolore e dai ricordi, qualche volta dall'alcol o dalle troppe ferite da taglio oppure di arma da fuoco. Nella sua vita ci sono tre donne e tutte e tre sono avvolte da quella stessa tragicità e coinvolte da quella violenza di cui Sampson sembrerebbe essere affetto. Come se questa fosse un morbo. Una specie di pestilenza e comunque forse la ragione principale per cui lui per primo cerchi alla fine di starsene alla largo da tutto e da tutti e sceglie di essere un solitario. Perché quando stai male, difficilmente, quasi mai puoi fare qualcosa di buono per gli altri e questa è una dura verità da accettare, ma è così che vanno le cose.
'Too Late' è anche una lettera d'amore dark alla città di Los Angeles, come ha voluto definirlo il Los Angeles Weekly, ma soprattutto è un film girato con una tecnica particolare e completamente, in ogni sua scena, con una techinscope 35 mm motion picture camera (roba introdotta dalla Technicolor Italia negli anni sessanta). Una modalità poco ordinaria per quello che riguarda produzioni cinematografiche ma che negli ultimi anni è stata adoperata anche per produzioni importanti come 'Silver Linings Playbook' di David O. Russell oppure 'Argo' di Ben Affleck. Inoltre il film è praticamente strutturato in quelle che si possono devinire cinque sezioni individuali ognuna dalla durata di ventidue minuti. Ogni 'takes' non ha subito tagli né editing di alcun tipo e soprattutto le diverse sezioni sono state montate una dopo l'altra senza quello che debba essere necessariamente il rispetto di un ordine cronologico. Che significa che, vogliate oppure no, molti contenuti, persino in qualche modo il finale, vengano svelati prima che giungiate alla fine della visione. Una cosa che a seconda dei vostri gusti e apprezzamenti per l'opera potrete questa volta trovare interessante oppure no, ma che sicuramente costituisce una scelta particolare e perfettamente riuscita da parte del regista. In quanto al finale in sé stesso, non lo so, cioè questo in fondo appare essere uno solo, però secondo me potrebbe benissimo essere uno qualunque tra tutti e cinque quelli dei cinque 'takes' cui ho accennato. Ma in fondo che cos'è veramente il finale. Dico, il finale è solo qualche cosa che serve a farci sentire più sicuri. Come se così allora sapessimo come vadano o debbano andare veramente le cose, ma in realtà in questo c'è qualche cosa di illusorio. Questa volta, immedesimandomi nell'attore protagonista e in questo processo, cercando di impadronirmi della sua figura e dei contenuti del film, mi sono rivisto e mi sono reso conto che possediamo le stesse insicurezze e che forse i finali allo stesso tempo ci attraggono perché ne riconosciamo il ruolo di 'completamento' all'interno di un processo più altro; ma dall'altra parte ci respingono. Ci respingiamo a vicenda. Perché abbiamo sempre una partita da giocare e questa non finisce mai.
Carico i commenti... con calma