Sarò sincero con voi: ho acquistato il dischetto in questione solo perché - in un periodo di disastrose finanze - sembrava davvero essere l'unico che potessi permettermi. Eppure proprio questo ha fatto sì che io prendessi ad amarlo come avvenne solo per i primi amori, quando, cioè, giovani e squattrinati, ci aggiravamo per i negozi di dischi in attesa del colpo di fulmine che desse un senso ai sacrifici.
Insomma, questo dischetto mi ha riportato agli anni della beata giovinezza.

Ma ho promesso che sarò sincero con voi e dunque vi dico che "Too Late To Die Young" (che titolo meraviglioso, pensai) non inventa niente: la batteria batte normale, la chitarra schitarra normale, il basso pulsa come un normale basso, la voce è una voce normale, nessun congegno astruso e alieno, nessuna pulsazione astrofisica e nessun inserto elettronico futurista.
Puro e semplice pop & roll.
Eppure... Eppure "Too Late To Die Young" gira nella mia misera e triste stanzetta londinese come un cielo limpido e chiaro, accompagna le mie gioie e i miei timori, mi rimembra dei miei amori abbandonati nella terra dell'Unto del Signore senza malinconia. Dall'iniziale "Straight Line To The Kerb", in cui la chitarra tesse dolci richiami Grandaddy, alla strumentale "Tabular Belgians in my Goldfield", post-rock ossessivo e scontroso, con le sue percussioni cupe e circolari, a prendere poi il largo nella successiva "Be Good To Yourself", in cui la voce spaventosamente richiama trame oblique care ai dEUS.
Quando le atmosfere si fanno rarefatte, la chiatarra fa spazio alla voce sensibile di Lisa O'Neill ("Animals On My Mind", "Over The Side"), e i Departure Lounge dimostrano di aver assimilato per bene la lezione dei Coldplay e dei Travis di "The Man Who". Inserti di sassofono e tromba ("King Kong Frown"), echi jazz ("I Love You"), spinte rock & roll ("Alone Again").

Potrei star qui a vantarmi con voi dell'ultima meraviglia d'Albione, dell'ultima moda "The Vines", dell'ultimo grido targato "Jet", potrei accodarmi alle ragazzine isteriche per i riff di "Franz Ferdinand" e "The Veils", ma non lo farò, non me la sento. Ora come ora, ho perduto il cuore per i "Departure Lounge" (che nome idiota, pensai) e questo mi basta per sentirmi ancora una volta diverso, anche lontano da casa.

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