Ovvero il disco del Disincanto.
Dopo aver visto con i loro occhi i contrasti e le ingiustizie del pianeta durante uno dei primi tour mondiali inizia per i Depeche Mode una fase più matura.
Anno 1983, la band sempre più infastidita da quella parte della stampa che li definisce New Romantic si espone in quest'album con testi politici e di denuncia. Anche i suoni si fanno più cattivi, arriva Gareth Jones alla produzione (già dietro la consolle di Einsturzende Neubauten) insieme ai suoi campionatori caricati con suoni industriali e sale grosso. Ma andiamo ad analizzare le canzoni più rappresentative di questo disco: si parte con "Love in Itself": "There was a time / when all on my mind was love / Now I find / that most of the time / love's not enough / in itself". Ed ecco il disincanto di cui sopra, Mr. Gore scopre che l'amore da solo non basta. Il brano è un contrapporsi di riff di sintetizzatore e parti jazzate di piano e chitarra acustica da non si sa quale pianobar.
Segue a ruota "More Than a Party": "lot of surprises in store this isn't a party is a whole much more!!!". I Depeche Mode riprendono concettualmente la locomotiva dei Kraftwerk e ne fanno un loop che mano mano accellera e su cui si sviluppa questa electro-ballad caratterizzata dalla voce di Dave cupa e malinconica. Bello il giro di basso, geniali le dissonanze sintetiche.
"Pipeline": i rumori della catena di montaggio assemblano un ritmo meccanico e ripetitivo. I suoni campionati di oggetti metallici che cadendo rimbalzano irregolarmente ma che sono comunque parte della catena danno all'insieme un effetto suggestivo. A sorpresa entrano arpeggi di marimba e tappeti ambient a smorzare i suoni siderurgici e ad innescare un senso di speranza su chi ascolta… come dire: non tutto è perduto, forse. Il verso "Taking from the greedy / Giving to the needy" ripetuto ad libitum sottolinea ulteriormente l'attenzione della band alll'iniquità sociale dei tempi moderni. E arriviamo a "Everything Counts": "the grabbing hands grab all they can", i brutti musi del capitalismo arraffano tutto ciò che possono. Questo brano inizia con un bellissimo pattern di drum machine al quale si aggiunge un tripudio di sintetizzatori, anche qui Dave canta alla grande le rime geniali scritte da Martin, consegnando alla storia uno dei singoli più riusciti della band.
"Shame" è una sorta di rumba elettronica mentre "The Landscape is Changing" composta da Alan Wilder sembra volerci sussurrare: abbi cura del tuo mondo, chi altri sennò? "And Then", che chiude in bellezza l'album, ci ricorda con le lunghe pennate sull'acustica e i particolari arrangiamenti vocali il pop raffinato dei primi Tears for Fears.
Il disco risulta attualissimo nei contenuti, se si pensa a ciò che succede oggi in una Cina votata ai modelli economici occidentali con operai pagati pochissimo (praticamente senza diritti), ed un'emergenza ambiente inquinato dagli scarichi. Il sound è eccellente, i suoni di sintesi sempre appropriati, la voce di Dave stupenda. Un album da ripescare (non foss'altro per questioni ideologiche) ma che rivela al suo interno brani assai pregevoli. Il disco più Industrial dei Depeche Mode.
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