Replicando le recenti esibizioni in Italia, paese che sembra non averne mai abbastanza degli albionici Depeche, ho avuto la fortuna, visti gli esiti, di trovare ancora due biglietti per la serata del 29 gennaio al Forum di Assago.
Ad aprire il concerto la cantautrice EMA di cui ignoravo l’esistenza fino all’altra sera e direi, ingiustamente, a seguito poi di quello che ho ascoltato nel suo set di circa 30 minuti, accompagnata da una batterista e un poli strumentista che ben l’hanno supportata in brani eseguiti senza timori reverenziali e dotati di una certa energia e personalità.
Archiviata questa apertura , puntualissima, si palesa alle 21:00 la band di Basildon, accompagnata sullo sfondo dalle proiezioni ideate da Anton Corbijn ormai fedelissimo collaboratore dal 1986.
L’onore ed onere di aprire il concerto è lasciato a “Going Backwards” singolo estratto dall’ultimo album “Spirit” trascinato da una performance vocale di Dave Gahan che non deluderà per tutta la sera e che anzi confermerà quanto davvero sia uno degli ultimi performer in grado di attrarre, condurre e vincere folle oceaniche di spettatori dando l’impressione che per lui sia la cosa più naturale del mondo. La scaletta privilegia nell’ esecuzione di “It’s no good” e “Barrel of a Gun” l’album “Ultra”, opera che mostrò la prima formazione a tre ma anche la liberazione dai mali che avevano afflitto la band fino a quel momento, minacciando seriamente di distruggerla per sempre e dimostrando invece quanto fosse viva e vegeta.
Successivamente è un susseguirsi prevalente di classici, con i momenti attesi da tutti di “Everything Counts” e Never let me down” dove il rito si celebra in una perfetta fusione, tra band e il proprio pubblico, di parole e movimento, ed è emozionante esserne parte.
Ci sono poi gli episodi cantati da Gore, in particolare “Home”, che mostrano il lato più introspettivo e l’anima malinconica del loro autore, con il buon Martin che dimostra le ottime capacità anche di vocalist. Personalmente “Stripped” , “In your room” e “Walking in my shoes” sono i gioielli della serata che portano, troppo presto, al saluto finale di “Personal Jesus”.
Quello che stupisce è come nel nuovo millennio, senza produrre nulla di rivoluzionario dopo “Ultra”, i Depeche non abbiano perso un minimo di dignità artistica oltre alla fama, percorrendo con consapevolezza una carriera artistica recente che riflette l’equilibrio che hanno trovato tra le diverse personalità, con un Gahan e un Gore che, complici le reciproche avventure soliste, sembrano aver trovato una fertile convivenza e una pace duratura tra le loro personalità e i loro demoni personali. Ultracinquantenni, consapevoli di esserlo, veri e maturi come i loro concerti ancora capaci di emozionarci, con la forza delle loro parole e della loro musica. Lunga vita ai Depeche Mode!
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