Si è da più parti gridato al miracolo quando i primi barlumi di questo nuovo album si sono manifestati. Dopo una dozzina d'anni in cui la band di Gahan e Gore (che oggi a chiamarla band, ahimè, suona uno sberleffo) aveva tentato di trovare una sua quadra continuando a puntare sullo stesso produttore e sullo stesso crossover di blues ed elettronica, oggi si ha la sensazione che i basildoniani abbiano capito in quale direzione guardare e virare. Una direzione che in parte è un tornare a calcare le proprie orme cercando una mediazione vincente tra lo zoccolo duro dei Devotees e una platea sempre più ampia e sempre più ondivaga. Sta di fatto che "Memento Mori" da un lato recupera la vecchia scuola degli incipit e dei riff immediatamente riconoscibili - e canticchiabili - dall'altro ripulisce il sound sintetico degli ultimi appannati album e lo mette al servizio delle canzoni.

Canzoni che hanno sicuramente beneficiato della scrittura a più mani, non fosse altro che per smuovere un po' le acque impaludate di un Martin Gore francamente non proprio in vena tra il 2008 e il 2017. Con tutto che io avevo apprezzato globalmente "Spirit" perché dotato di una sua eterogenea coesione e - a parte i testi qua e là imbarazzanti - capace di emozionare con qualche brano oggettivamente azzeccato. Vituperato senza pietà da molti, al punto da essere considerato oggi il loro lavoro peggiore, in verità è stato propedeutico a "Memento Mori". Molto più che quel ricettacolo di idee confuse e incoerenti che fu "Sounds of the universe"..

"Memento Mori" è un disco equilibrato, spinto mediaticamente dalla lunga astinenza pandemica, dalla scomparsa del buon Fletch e da una campagna di marketing molto studiata. Arrivato al momento giusto per ridare vigore alle aspettative fameliche di un popolo che non sembra mai domo e mai pago. Basti vedere il bagno di folla dei recenti concerti nostrani e la razzia di biglietti compiuta in poche ore per le date del winter-tour prossimo venturo (sold-out in poche ore). Un album che inizia con la consueta magniloquenza darkeggiante per poi tirare le somme di una lunga carriera con una tracklist accattivante, molto incentrata sul ritmo e sulla voce da crooner di Dave (un solo pezzo cantato da Martin, infatti), molto calibrata nell'alternare reminiscenze eighties e i migliori spunti del periodo più recente.

Non mi dilungo sui singoli brani che tanto qui ci hanno già messo mano e penna in tanti. Personalmente voglio sottolineare come un progetto che ha quattro decenni e più riesca a mantenere un livello di attenzione e di qualità generale così elevato a discapito di tutti i cambiamenti - anche radicali - che il mercato della musica ha subito recentemente. Riuscire a mettere in catalogo la versione in cassetta - in plastica rossa trasparente - a 20 euro con vendite che hanno superato le decine di migliaia di copie non è poca cosa. E la stima che ai Depeche viene attestata anche dai mezzi detrattori, specie dall'interno della pancia dei fans, dimostra che le fondamenta della loro storia sono molto più solide e strutturate di quanto si pensi.

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