Avevamo paura che non li avremmo più ascoltati sotto il nome di "Depeche Mode", invece rieccoli. Dopo un album a testa da solisti e numerose collaborazioni sono ritornati più in forma che mai. Dopo aversele dette di tutti i colori i due maggiori titolari della band Dave Gahan e Martin Gore hanno deciso di fare pace, per il bene di tutti. Questa volta Gahan risulta autore alla pari di Gore (a dimostrazione del suo grande periodo di forma confermato dal suo ultimo album solista e dal successivo tour). E il risultato si sente. "Playing the Angel" sembra una sintesi di due periodi ben distinti dei DM: quelli dell'inizio anni '80 e quelli del periodo a cavallo tra gli '80 e i '90. Infatti l'album suona molto di "Violator" ma anche di alcune canzoni degli inizi: L'inizio di "Suffer Well" non vi ricorda forse l'inizio di una "New Life" rallentata? Il disco tutto suona molto alla DM ed è ovunque impregnato di una certa oscurità e tristezza (The sinner in me, macrovision, nothing's possible
) a conferma del fatto che certi momenti bui attraversati da Gahan e compagni durante gli anni '90 sono difficilmente cancellabili.
L'album si apre con una "A Pain That I'm Used To" che contiene la stessa sirena che si può ascoltare in "The Dead Of Night" (da Exciter) per arrivare ad una distorsione totale di elettronica, sirene e lampi nel bel mezzo del ritornello. Qui Gahan sembra molto a suo agio con una padronanza e una compostezza della voce degne di una "Perfect Jesus". "John The Perelator" è un blues elettronico da hit parade, molto immediato e facilmente orecchiabile. L'impronta di Gahan continua a sentirsi in "Suffer Well" primo dei tre brani scritti da quest'ultimo. che sembra un miscuglio di brami del passato con un ritornello nostalgico. "The Sinner In Me", è una preghiera-syinth in stile "Barrel Of A Gun", e che dire di "Precious", la canzone DM per eccellenza, perfetto singolo, Gahan con voce passionale ci parla di un amore finito: Things get damaged Things get broken I thought we’d managed But words left unspoken
. "Macrovision", pezzo avanguardistico cantato da Gore che sembra uscito da un album di David Sylvian o Brian Eno. Brano in linea col suo ultimo lavoro solista che non a caso ha omaggiato Eno con una versione cupa e fredda di "By This River". L'album continua, cedendo un po' di ritmo, passando da una lenta "I Want It All" ad una struggente "Nothing's Possible" con synth oscuri e acidi che fanno trapelare tristezza e nostalgia. Dopo un brano strumentale "introspective", si passa ad un brano intenso come "Damage People", forse la ballata più bella dell'album ancora una volta cantata da Gore. L'album si chiude con "Lilian" che ci parla di una donna fatale che si diverte a spezzare cuori e ispirare canzoni perfette, e "The Darkest Star", canzone ideale per un finale che ci fa saltare in mente concetti come disperazione, abbandono e dolore.
Alla fine dei conti i DM hanno concepito un album degno dei loro migliori lavori, capace di sintetizzare 25 anni di musica come solo poche band sanno fare.
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