Questo nuovo “Spirit” è un disco importante per i Depeche Mode.
La prima novità, e sicuramente quella più importante, è il cambio di produttore: dopo l’esperienza con Ben HIllier che ha portato ad una trilogia di album (uno bellissimo - “Playing The Angel”, uno trascurabile - Sounds Of The Universe - ed uno discreto - l’ultimo “Delta Machine”), la band di Basildon si affida a James Ford, componente dei Simian Mobile Disco e produttore piuttosto quotato (all’attivo ha esperienze con Arctic Monkeys, Klaxons e Mumford & Sons).
Arrivato alla quattordicesima prova in studio, il trio britannico tenta quindi la carta di una parziale rinfrescata all’ormai rodata impalcatura sonora della propria proposta. Intento già evidente a partire dal primo singolo “Where’s The Revolution?”, giusto compromesso tra attitudine anthemica e incisività nei suoni (il tutto condito da una pungente vena politica nel testo, tema tra l’altro piuttosto ricorrente un po’ in tutto il lavoro).
Si parte comunque da un’opener come “Going Backwards” che già convince appieno, e basa la sua struttura su di un intreccio molto azzeccato tra piano e fascinazioni electro. E’ uno dei pezzi firmati da Martin Gore, che sembra in buona forma e spazia tra le atmosfere plumbee e scure delle ottime “The Worst Crime” , “Eternal” (in quest’ultima si presta anche al canto) e “Fail” (idem, posta in chiusura) e l’aggressiva “Scum”, una vera cazzottata allo stomaco che spara in faccia all’ascoltatore un frenetico frullato di synth e bassi pompatissimi. Notevole anche la prova di Gahan, tagliente come non si sentiva da anni. “So Much Love” è l’unica a richiamare alla mente i Depeche pre-Exciter, mentre “Poorman” è molto più ariosa e destrutturata.
E proprio Gahan firma stavolta ben quattro pezzi per il nuovo lavoro: uno con la collaborazione dello stesso Gore, ovvero “You Move” (ancora il basso a guidare il tutto), gli altri con i soliti Peter Gordeno e Christian Eigner, oltre allo svedese Kurt Uenala. “Cover Me” parte lenta e costruisce pian piano e senza fretta una buona melodia, culminando in un magma strumentale dominato dalle tastiere. “Poison Heart” è il pezzo più Soulsavers del disco, “No More (This Is The Last Time)” non sfigurerebbe come futuro singolo.
“Spirit” è indubbiamente un buon disco, che archivia definitivamente l’ormai datato passo falso con “Sounds Of The Universe” e ci riconferma il buono stato di forma dei tre di Basildon.
Miglior brano: Scum
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