"Der Sieg des Lichtes ist des Lebens Heil!", uscito nel 1998, è il secondo album del progetto Der Blutharsch: un lavoro finalmente maturo in cui Albin Julius è in grado di riorganizzare le idee e meglio sviluppare le intuizioni solamente abbozzate nel pur buon esordio.
Quel che è da subito evidente è che l'inaspettato successo riscosso dall'omonimo debutto (che, è bene ricordarlo, fu originariamente concepito per svago, ad uso e consumo di una ristretta cerchia di amici) sembra aver ringalluzzito il buon Julius, ed espanso a dismisura la sua incredibile faccia tosta.
Tanto che "Der Sieg des Lichtes ist des Lebens Heil!", assieme a pochi altri esemplari ("Music, Martinis and Misanthropy" di Boyd Rice, il "Gospel" dei Blood Axis, "Take Care and Control" dei Death in June), si iscrive di diritto nella lista degli album più fascisti della storia della musica (più o meno) conosciuta.
Che Julius sia una faccia di merda, lo si capisce dall'idea balzana di porre subito in apertura una stronza canzoncina anni trenta cantata in tedesco: un manifesto programmatico, un gesto di assoluta arroganza, una chiara provocazione che ben esplicita quello che dobbiamo aspettarci dai cinquanta minuti che compongono l'opera in questione, ossia un'appassionata apologia dei regimi totalitari che hanno tragicamente segnato la storia del novecento.
Chiusa la simpatica parentesi, le solenni note di un organo ci preparano alle danze vere e proprie. Come si suol dire: la quiete prima della tempesta. Quel che seguirà sarà un impietoso arrembaggio di orchestrazioni minacciose, percussioni rombanti e campionamenti industriali: un insieme di ingredienti che costituiranno le basi di quello che diverrà a tutti gli effetti un genere a sé, sorta di post-industrial marziale dalle fosche ambientazioni belliche.
In molti, successivamente, cercheranno in vano di imitare il contenuto di questo album, perfetto nelle sue rifiniture, invidiabile nell'equilibrio delle sue componenti, suggestivo nei passaggi ambientali, quanto adrenalinico nei momenti di maggiore impeto declamatorio.
La carica drammatica del primo album viene, in verità, ad affievolirsi (e questo a mio parere è una nota negativa) per lasciare spazio, ahimè, ad una fierezza guerrafondaia che non trova eguali, per intensità e convinzione, anche all'interno della stessa scena: coraggio, onore, virilità, spirito di abnegazione, culto dell'eroe.
E non basta certo qualche guizzo d'ironia ad attenuare i toni minacciosi, l'orgoglio ostentato, la cieca violenza di quello che possiamo definire il perfetto vademecum del giovane fascistello dei nostri giorni, personaggio alquanto deleterio che per anni ha vissuto nell'ombra e nel risentimento, e che di recente sembra aver trovato spiragli per emergere dalla sua alcova persa nella nostalgia di un passato nefasto.
L'altro giorno, presso l'edicola della stazione ferroviaria della città in cui lavoro, ho visto in vendita, ed esposto in bella mostra, il calendario 2009 di Benito Mussolini. Fino a qualche tempo fa una cosa del genere non era chiaramente concepibile. Ed allora mi chiedo, non senza autocritiche, se non sia stato un male che il fenomeno revisionista non sia stato spento nel suo nascere, in ogni sua più piccola ed insignificante manifestazione.
Oggi questo fenomeno sembra aver acquisito vigore e spregiudicatezza fuori da ogni controllo e decenza. E' probabilmente colpa dell'ignoranza e della superficialità che pervadono il presente: per questo un album come "Der Sieg des Lichtes ist des Lebens Heil!" fungerà ai posteri da vivida testimonianza dell'idiozia e dell'inutilità degli anni che stiamo vivendo.
I novanta, i duemila: mentre un'economia finanziaria vuota e spregiudicata ci stava facendo fessi, spolpando quella reale; mentre una crisi di portata epocale si stava preparando per mietere un sistema oramai destinato al collasso, noi saremo ricordati come quelli che lo pigliavano in culo ed avevano al contempo buon gusto e tempo per rivalutare i mai troppo vituperati regimi totalitari del novecento.
Signori, saremo accontentati: il totalitarismo ritornerà, e nemmeno in maniera troppo carezzevole. Sotto altre forme sicuramente, ma premendo sempre sulle stesse leve: l'ignoranza, la disperazione, il qualunquismo, l'indifferenza.
E se mi venite a chiedere perché alla luce di tutte queste belle parole mi riduco ancora una volta a dare quattro stelle ad un album dei Blutharsch, non so cosa rispondere.
Forse perché (sbagliando probabilmente) all'"arte" riesco ancora a perdonare tutto.
Forse perché ho perso il senso critico, la misura delle cose.
Forse perché il mio cervello è andato definitivamente a puttane, materia informe, incoerente e schizofrenica, dimora di forze contrastanti e contraddittorie, sottoposta fin dalla tenera età ai colpi micidiali dell'Uomo Tigre e di Ken il Guerriero, di Forum e del Pranzo è Servito.
Il Grande Fratello e la De Filippi sono arrivati tardi, a decomposizione avanzata: già era desolazione.
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