Il 45 giri in questione fu commercializzato nel nostro paese dalla succursale italiana della multinazionale (la versione internazionale teneva diversa copertina ed altra canzone come lato B) all'inizio del 1971 e riscosse modesto successo, similmente al doppio album da cui era estratto ovvero "Layla and Other Assorted Love Songs". Già che Clapton in Italia era ancora musicista di nicchia essendo le gesta dei Cream giunte in maniera molto attutita qui da noi... ma soprattutto la bella idea di camuffarsi sotto lo pseudonimo di Derek con i suoi Dominos non poteva che rivelarsi micidiale anche e soprattutto presso mercati meno informati e attenti come il nostro.

Solito Bel Paese un po' cialtrone: l'affermazione su quella vistosa fascetta rossa a destra in basso è una discreta bufala: il singolo non stava avendo affatto una buona riuscita in Gran Bretagna e neppure negli USA, paese quest'ultimo dove quanto meno il corrispondente album ebbe invece la soddisfazione di entrare in classifica. Ma la faccenda più curiosa al proposito è che "Layla" fu ripubblicato come singolo, nei paesi anglosassoni, un paio d'anni scarsi dopo (con Clapton fra l'altro fuori dal giro, in crisi e tappato in casa) e stavolta ebbe un lusinghiero riscontro! Per non parlare di quando un Eric ormai di mezz'età vi rimise mano negli anni novanta, rendendone una toccante versione acustica all'interno del vendutissimo suo album "Unplugged" e in tale veste riproponendolo per la terza volta come singolo, con enorme e definitivo consenso.

Tornando per un attimo al disco madre, le citate "canzoni d'amore assortite" erano dalla prima all'ultima dedicate dal chitarrista alla donna per la quale aveva perso la testa, ossia la modella e fotografa Patty Boyd, all'epoca moglie dell'amico e collega George Harrison. Non potendo/volendo al tempo dichiarare l'oggetto dei suoi struggimenti, l'innamorato Eric aveva optato per questa Layla, protagonista di un racconto romantico persiano, donna per la quale spasimava fino a sprofondare nella pazzia un certo Manjun, dopo che il padre di lei gli aveva ostinatamente e ripetutamente negato la sua mano.

La biondissima Patty lo fece tribolare ben bene al povero Clapton, prima comportandosi da donna responsabile e attenta al suo matrimonio, poi cominciando a darla via a destra e a manca (pure al chitarrista dei Faces e poi Stones Ronnie Wood, per dire) una buona volta stancatasi dell'infedeltà cronica di George, ma non a lui! Talché il grande Eric si passò tre anni d'inferno asserragliato in casa e attaccato costantemente a bottiglia e polverine, senza più voglia di suonare; finché finalmente lei cedette alla sua corte, lasciò l'ex-Beatle (consenziente, e amico di Eric più di prima) per lui, liberando nuovamente e per sempre la sua voglia di far musica (con relativo mantenimento del vizio del bere e dell'eroina, beninteso), da cui la conseguente corposa sequela di dischi della ditta Clapton a partire da quel 1974 in poi.

La canzone "Layla" era nata più o meno come la si sente nella versione più recente, quella unplugged: un posato ed amarognolo shuffle acustico con una pregevole sequenza di strofa in DO diesis minore che risolve al ritornello aumentando l'impianto di mezzo tono e passando quindi al RE, soluzione armonica in teoria idiosincratica, ma nell'occasione resa più che piacevolmente ed anzi capace di emanare personalità e fascino. Il disperato Clapton vi descrive la triste e non infrequente storia di chi era andato per consolare, si ritrova innamorato cotto ma viene considerato solo un amico e si strugge e si distrugge a vedere l'oggetto dei suoi desideri con testa e cuore ancora e solo per l'uomo che la sta mortificando.

La musica è già magnifica così, il testo è fatto autenticamente col cuore in mano ma a questo punto arrivano due "aiutini" esterni, capaci insieme di rivoltare il pezzo come un guanto e di elevarlo ulteriormente ad inno immortale del rock. A ben vedere la faccenda degli amici che danno una mano è una componente importante del successo di questo musicista, essendo in tanti i colleghi a cui il nostro, certo non un prolifico compositore, deve riconoscere grossi meriti: Jack Bruce (l'autore principe dei Cream), Steve Winwood (stesso ruolo nei Blind Faith), Bob Marley ("I Shot The Sheriff"), J.J. Cale ("Cocaine")... questi probabilmente i più eclatanti.

Il primo contributo è quello del chitarrista Duane Allman al quale qualche giorno prima era capitato, mentre che si esibiva coi suoi Brothers a un concerto all'aperto, di vedere e riconoscere all'istante Clapton intento a piazzarglisi sotto il naso, solo soletto nel praticello fra palco e transenne della prima fila. Al che gli era preso un mezzo colpo e, a sua detta, "...per cinque minuti buoni non beccai un accordo!". I ricordi di Eric sulla stessa serata sono del tipo "...mi stavo avvicinando al palco che la band ci dava dentro di brutto e sentivo come una sirena, un canto di chitarra slide sublime sprigionarsi altissimo e sovrastare tutto il resto. Allora scavalcai il servizio d'ordine e mi sedetti sotto al tizio autore di tanta magnificenza, non staccandogli più gli occhi di dosso per il resto della serata!". Finita la musica e fatte le presentazioni nei camerini, Duane accettò di unirsi temporaneamente ai Dominos per le registrazioni dell'album, finendo per suonare in undici dei quattordici pezzi, ma il suo contributo più importante resta il mirabile riff di chitarra inventato per "Layla" a contrappunto del ritornello, nonché la parallela e conseguente, sensibile velocizzazione del tempo del brano, da lento moderato a veloce andante. Il riff di "Layla" è roba da Belle Arti, è oramai musica classica, che dire di più?

Il secondo contributo importante viene invece dal batterista dei Dominos Jim Gordon, il quale si dilettava a suonare anche il pianoforte ed aveva fatto ascoltare a Clapton una successione di accordi molto lirica e pastorale che aveva trovato sullo strumento. Piacque tanto al suo capo che pensò di utilizzarla come coda strumentale alla, già bella che pronta, canzone di base. Fu perciò rapidamente registrata in un'apposita sessione di prove lasciando al produttore Tom Dowd l'incombenza di "attaccarla" alla porzione cantata: non uno scherzo visto che la progressione di piano era in DO, un tono sotto. Velocizzando lo scorrere del nastro, ma non del tutto altrimenti la resa del pianoforte sarebbe stata innaturale, si trovò l'accomodamento e così questo capolavoro viene ad avere due assai diverse sezioni e durare sette minuti e più, con quella "sutura" poco dopo il terzo minuto che un po' si avverte, ad avere l'orecchio fino... proprio la medesima cosa che succede coi Beatles in "Strawberry Fields Forever", altro meraviglioso incrocio ed adattamento di due registrazioni diverse, di diversa tonalità e spirito nonché differente numero di battute per minuto.

Non tutto è perfetto in questa produzione: il pianoforte è suonato da un batterista ed è quindi meccanico, poco fluido... e a dirla tutta pure sugli svolazzi di slide del sommo e compianto Duane c'è da eccepire, essendo discretamente stonati qui e là! Inoltre la voce di Clapton, impegnata ai limiti superiori della propria naturale estensione vocale, sforza parecchio ed ogni tanto perde il controllo (nella versione acustica "Layla" verrà cantata un'ottava sotto e quindi da padreterno, oh yes): erano altri tempi, si andava d'istinto e di fretta talvolta, c'erano più cameratismo e più indulgenza, a scapito a volte della professionalità. E' da notare come il chitarrista abbia accreditato il brano a se stesso e a Gordon, soprassedendo invece sul decisivo contributo compositivo di Duane, ma credo solo per problemi legali di copyright al tempo.

Tale portento di canzone è stata pesantemente penalizzata nelle esecuzioni dal vivo: la ragione è che Eric non riusciva a cantarla bene eseguendo contemporaneamente il riff portante. C'è voluto il ripescaggio della originale stesura in acustico per riportare "Layla" con frequenza sui palchi. L'esecuzione da me preferita è quella all'inizio del concerto gratuito del 1996 in Hyde Park a Londra, immortalato anche su dvd. Clapton guadagna il palco imbracciando l'acustica, esegue libere improvvisazioni in pentatonica di RE per un minutino e poi parte con la celebre cadenza del ritornello, accolta dal boato di approvazione dei duecentomila astanti: una goduria!
Due parole nuovamente sul 45 giri in questione: intanto la versione presente nella pubblicazione italiana dura solo tre minuti: si pensò bene di far sfumare il pezzo sulla reiterazione del ritornello in modo che si estinguesse appena prima dell'ingresso del pianoforte di Gordon. Senza più la sua coda sognante e romantica il brano rende così solo la urgente e drammatica preghiera dell'innamorato al riluttante oggetto dei suoi struggimenti.

Riguardo invece il retro "italiano" e cioè "Bell Bottom Blues", altro episodio ben in vista del doppio album di provenienza, esso non è propriamente un blues ma piuttosto una ballata pop rock con successioni di accordi in discesa grosso modo alla maniera di "Something" dei Beatles (senza averne la stessa inaudita perfezione). Del resto l'amico George Harrison è stato autenticamente uno dei musicisti che più hanno influenzato il buon Eric: in questo brano anche lo stesso modo di cantare di Clapton, che si sforza di essere più dolce rotondo ed etereo possibile, omaggia lo stile del Beatle sul celeberrimo ed ispirativo suo contributo ad "Abbey Road".

Per finire una nota di contorno: quando si va a vedere un concerto di Eric Clapton è facile beccarsi l'esecuzione di questa "Layla", brano del 1970 che descrive il suo amore non corrisposto per Patty, e poco dopo gustarsi pure la riproposizione di "Wonderful Tonight", zuccherosa ballata del 1977 che descrive una serata a una festa da amici insieme all'amata Patty, ora la sua donna, e più in là ancora beccarsi anche "Old Love", splendida ed amara blues ballad che raccoglie la sua mortificazione nel constatare l'amore ormai finito fra lui e Patty, pubblicata nel 1989 intanto che stavano divorziando e lui era alle prese colla Del Santo. Insomma il prima, il durante e il dopo: mitico Clapton!           

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