I Descendents, si sa, non sarebbero i Descendents senza il loro leggendario frontman, Milo Aukerman. Tony Lombardo e Bill Stevenson sono due musicisti con fiocchi e controfiocchi, ma senza la sua amara sensibilità, il suo rancore verso un mondo che lo ha bollato come "sfigato", la sua voce velata di quella disarmante malinconia un album come l'immortale "Milo Goes To College", venti minuti scarsi di hardcore melodico dove il nostro secchione gridava al mondo le proprie insicurezze e le ingiustizie subite con quella sua unica e travolgente passione, non sarebbe mai esistito e, con esso, canzoni come "Hope", "Bikeage" e "Jean is Dead".
"I Don't Want To Grow Up", secondo lavoro partorito dai nostri eroi, viene pubblicato per la New Alliance di D.Boon (pace all'anima sua), gemella della leggendaria SST, nell'85, anno in cui l'hardcore non era più hardcore nel senso stretto del termine e furono messi al mondo dischi come "New Day Rising", per fare l'esempio più illuminante. I Descendents fanno il passo più lungo e, accogliendo definitivamente e consapevolmente la melodia tra le proprie mura, battono quel ridente sentiero che verrà seguito, nel corso degli anni, dai vari Bad Religion e NOFX.
E' un disco più di canzoni e di idee, che di nervi, con l'esplosivo flusso coscenziale di Milo che verrà filtrato dalla forma-canzone, compromettendo così un po' il fascino del risultato. "Descendents", vero e proprio inno per i fan, assieme alle fulminee "Rockstar" e "No FB", quaranta secondi di canzone a testa, è qua a dimostrare che l'ipervelocità di vecchia scuola scorre un po' nelle loro vene, così come la loro attitudine cazzona, come dimostrato dalla filastrocca idiota della title-track. In "Pervert", cavallo di battaglia dei live della band, Milo gioca un po' a fare l'Henry Rollins, ma, subito dopo, con "Can't Go Away" e "GCF", pezzi che potrebbero dar loro il diritto e l'arroganza di far causa ai Green Day per plagio e fottere un po' dei loro milioni, i nostri mostrano definitivamente il loro nuovo volto. In mezzo ai ritornelli killer di "My World" e "Silly Girl", altra bellissima canzone d'amore à la "Hope" e perla del disco, arriveranno addirittura a piazzare lo strumentale zumpappà di "Theme", menage à trois tra Cooper, Stevenson e Lombardo che colorerà di tinte allegre e vivaci le vostre sinapsi. La sognante "In Love This Way", la disincantata "Good Good Things" e l'ennesima prepotente melodia di "Christmas Vacation" apriranno le porte ai quasi quattro minuti di "Ace", che chiuderanno il disco all'insegna della tristezza, dove quell'ossessivo now's the time ci farà fare i conti con la realtà. Alla fine, bisogna crescere.
Con "Milo Goes To College" i Descendents avevano già detto tutto, ma rimarranno sempre i miei Peter Pan preferiti.
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