Strano ensemble questi Destroyer.

Tutto ruota intorno alla figura di Dan Bejar, riccioluto e barbuto frontman, piuttosto schivo, perso fra tre birre e probabilmente stupefatto da qualcos'altro .Alla tastiera e seconda voce c'è poi una donzella dolce e morbida ma tutt' altro che avvenente (avete presente un camionista? Ecco!); alla tromba troviamo un soggetto piuttosto inquietante, barbuto anch'esso , che tra un brano e l'altro riprende il pubblico col videofonino (mah) ; bassista e chitarrista me li ricordo poco, presenze praticamente solo fisiche, anche se il loro apporto musicale deve pur servire a qualcosa nell'economia del gruppo. Chi manca? Ah si, il sassofonista, mi ricorda il classico assistente universitario, occhialetti e visino pulito da sbarbato; ed infine il batterista.. molto punk nel modo di suonare, anche se in realtà su disco gli fanno suonare la batteria elettronica.

Queste sono stranezze che,come avete capito, ho notato vedendo dal vivo questa band canadese (ah può darsi che mi sia dimenticato di citare qualcuno, c'era tanta di quella gente sul palco quella sera). 

A prescindere dall'estetica e presenza scenica, quello che mi affascina di più è la musica, e questo "Kaputt" di musica ne offre, e di qualità. Sapete, da quando l'ascolto penso proprio che la mia vita sia migliorata. Questo disco ha la capacità di trasformare l'afa in fresco ("Chinatown"), il gelo in tepore ("Suicide Demo For A Kara Walzer"), la rabbia in convinzione. Persino prendere l'autobus strapieno alle 8 di mattina per andare a lezione non mi sembra poi tanto male. Un album per tutte le stagioni, efficace in qualsiasi momento della giornata, per un dolce risveglio ("Poor In Love") ed una tenue notte ("Bay Of Pigs"); per una cena romantica ("Blu Eyes") o solitaria ("Downtown"); per rilassarsi ("Song For America") o danzare ("Savane Night Of The Opera"). Insomma non esistono  momenti sbagliati nei quali ascoltarlo.

E lasciate perdere tutte le etichette che potrebbero essere appiccicate sopra: indie pop, indie rock, new wave ecc. ecc. non servono. Quello che conta è la musica, le meravigliose sensazioni che trasmette. Soffermatevi sugli intrecci di tromba e chitarra, sulle melodie fra le due voci, spulciate ogni minimo dettaglio nell'ascolto, coglierete anche dei passaggi di flauto traverso, un'elettronica calibrata e dei momenti di catarsi assolutamente inaspettati.

Nel 2011 pochi lavori come questo. Fra King Creosote & Jon Hopkins, Bon Iver, Blackfield, Decemberists ed il buon vecchio Eddie Vedder, inserite anche i Destroyer: realizzerete una comprensione del vostro ego che neanche immaginate, vi sentirete migliori o peggiori, ma vi conoscerete meglio. Saprete cosa siete e cosa volete diventare.

Conoscersi è la cosa più ardua e allo stesso tempo affascinante, applichiamo la musica come strumento alla nostra auto analisi. Non trascuriamola, è il tesoro più pregiato che ci sia stato donato. Ricerchiamo la sua essenza, eleviamoci ad un livello superiore per giungere all'infinito di noi stessi.

Per la storiella che vi ho raccontato per me il voto è 5, ma potrebbe essere tranquillamente 1. Come si suol dire, De gustibus...

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