Di tanto in tanto torno ad affacciarmi sulla vetrina della gloriosa Cold Meat Industry, tanto per tastare il polso della storica etichetta svedese che, se in passato si è mostrata generosa nell'elargire succulente primizie industriali, negli ultimi anni, ahimè, pare aver perso lo smalto e lo splendore di un tempo.
E in effetti, salvo qualche buona sorpresa (e mi vengono in mente i fenomenali Rome), non è che la scuderia del buon Roger Karmanik brilli oggi di chissà quali talenti.
Qualcosa di salvabile è tuttavia rinvenibile fra i solchi di un passato troppo pesante per essere bissato. Fra i nomi della nuova generazione targata CMI mi sento di segnalare il progetto Deutsch Nepal, one-man band capitanata da Lina Baby Doll (che a scapito del nome sembrerebbe essere un lui, almeno a giudicare dalla voce).
Niente di speciale, s'intende, comunque interessante questa bizzarra creatura che punta a fondere le peculiari atmosfere ambientali patrocinate dall'etichetta svedese con lo sferragliare del buon vecchio industrial di una volta.
A darci le coordinate di riferimento sono del resto i ringraziamenti che campeggiano nello scarno booklet, ringraziamenti che vedono in prima fila due illustri esponenti della scena industriale dei nostri anni: il genio indiscusso del dark-ambient Peter Andersson e l'altro pezzo da novanta dell'attuale panorama post-industriale Albin Julius. E di fatto il discorso di Lina Baby Doll si dipana fra le ossessioni ambientali degli imprescindibili Raison D'être e le spigolosità dei primi Blutharsch, senza naturalmente disdegnare le lezioni dei pionieri del genere (Throbbing Gristle, Nurse with Wound e Coil in primis), qui rielaborate in un'ottica decisamente più minimal (per non dire semplicistica).
Basterebbero queste premesse per almeno incuriosire gli amanti del sano industrial vecchia maniera. Premesse che vengono in parte mantenute (innegabile l'incisività di certi passaggi, evocanti l'arte sopraffina dei maestri sopracitati) ed in parte disattese, anche perché ci troviamo comunque innanzi ad un artista certamente onesto, ma da relegare, almeno per il momento, entro la schiera di coloro che hanno deciso di perseguire senza eccessiva originalità, né particolare perizia, la via tracciata dai pionieri del genere.
Insomma, il futuro dell'industrial non passa certo per le note confezionateci da Deutsch Nepal, eppure la messa in scena allestita da Lina Baby Doll si fa alquanto apprezzare: percorrendo le orme di un ambient rugginoso e polveroso, scosso talvolta da scariche ritmiche e loop ossessivi (ma senza mai pervenire ad architetture particolarmente complesse), Lina Baby Doll sembra infatti non prendersi eccessivamente sul serio, non perdendo il gusto per lo sberleffo, un certo spirito dissacratorio ed una buona dose di irriverenza.
Nei suoi 52 minuti, "Erotikon" (uscito nel 2006) sembra essere il compendio di quanto l'intero genere abbia saputo produrre negli ultimi 30 anni di vita: inni dal marcato impeto marziale (l'opener "U.R. Blackhouse"), foschi paesaggi elettronici (l'ipnotica "At the Court of Saba"), loop bombastici ("Permobile Eroromatik"), assalti martellanti vecchio stile (la titletrack, tributo evidente all'arte degli inarrivabili Nurse with Wound di Steve Stapleton) ed autentici incubi ambientali ("Menage a Troi...cent").
A fasi alterne si fa avanti il lamento acido di Lina Baby Doll (c'è chi tira in ballo Nico, ma tengo subito a dissociarmi da corbellerie di tal fattispecie), dividendosi mestamente fra desolanti nenie ("Heartbomb", "Blowup Parasite", "M/S Elusive Pain") e sfocati fraseggi effettati ("I Jast Fokos an Maiself", "Rapist Park Junktion"): un gracidare sbilenco che non farà certo gridare al miracolo, ma che ben si amalgama ai suoni densi e catramosi che pervadono l'intera opera.
Da tener d'occhio questo Deutsch Nepal, indubbiamente una realtà non imprescindibile, ma comunque una piacevole parentesi da non disdegnare a priori.
Soprattutto per chi non vive di soli classici...
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