Carissimo Devendra questo disco é troppo sicuro di se stesso. L'unico difetto è il suo "volume di gioco". Come se tutto quello che tocca può diventare oro per le nostre orecchie. Purtroppo in alcuni passaggi avviene l'esatto contrario: basta ascoltare "Long Haired Child" oppure "Lazy Butterfly".
Per il resto la scrittura di questo disco è davvero commovente e armoniosa, da qui si può salpare verso Caetano Veloso ascoltando "Santa Maria de Feira" e "Inaniel". Si può continuare con quella magica tripletta di canzoni, messa lì, all'inizio del disco. Probabilmente sarebbe un'operazione troppo semplice e scontata. In quei primi tre episodi Devendra raggiunge quella pienezza che tanto cercavamo nei primi album. In quest'ultimo disco si vede la sua arte a 360° gradi, da adesso in poi dobbiamo e possiamo aspettarci di tutto, il ragazzo ha delle ottime risorse. Inutile fare nomi o paragoni. Qui si ha l'opportunità di vedere un mondo più completo e dettagliato: fatto di Sud America, folk, anni '60 etc. etc.
Adesso sono qui che ci chiedono di avere più rispetto verso di loro, soprattutto in questo nuovo millennio della musica. Ripeto se si tagliava dal disco un paio di pezzi, c'era poco da dire e molto da ascoltare e meditare. Anche i piu' grandi conosco bene i propri limiti, tranne i tipi alla Ryan Adams, ma questa è un'altra storia. Qui la colpa è anche un po' nostra.
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