"Ma chi è che canta, un maiale?" Questa l'inevitabile reazione del profano quando dallo stereo partono a tutto volume le note di un qualsiasi album dei Devourment - nella fattispecie "Unleash The Carnivore", l'ultimo, uscito nel 2009. Ascoltando quest'album ti vien spontaneo pensare, sempre che i neuroni sopravvissuti all'assalto fonico riescano ancora a connettere, che solo due o tre brutallari sadomasochisti, di quelli che impiegano il tempo libero impalando il gatto, siano a conoscenza del quartetto di Dallas e dei suoi lavori; e invece no, spulciando un po' il web scopri che numerosi recensori sono tutt'altro che avari di lodi nei confronti dei Devourment. Una band pesantissima e indipendentissima, vera chicca della scena brutal death metal più sotterranea, quell'oscuro sottobosco tutto blastbeat e ruttoni; una band, quindi, da rispettare a priori - parrebbe -, che anzi deve necessariamente figurare tra gli ascolti del vero death-metallaro. Su wikipedia si legge addirittura che i nostri sarebbero niente meno che i fondatori di un piccolo ma temibile sotto-sotto-(continua)-genere, lo slam brutal: minchia. Spinto dalla curiosità mi sono allora accattato questo "Unleash The Carnivore", e già che c'ero ho pure dato un ascolto agli altri dischi. Che dire, dunque?

Diciamo per prima cosa che i tre album di questi tizi sono tutti assolutamente uguali, anche se il critico esperto si affannerà a spiegarvi che il primo disco suona, per dire, a 240 bpm e gli altri a 243. In pratica i nostri mescolano come da manuale (cfr. AAVV, Urgh. Ti spacco il culo a suon di brutal, a cura di Suffocation e Cannibal Corpse) blast beat e rallentamenti vari, poi accelerano i tempi veloci fino a degenerare in raffiche di beat caotici, indi appesantiscono i frequentissimi rallentamenti mediante l'uso di massicci e viscosi downstrokes - e fin qui, niente di nuovo. Di loro aggiungono una buona dose di groove, di quello bello tozzo e pachidermico, e una "voce" a dir poco ripugnante, un incrocio malato tra un cinghiale affetto da raucedine e uno sciacquone intasato (è la famigerata tecnica dell'inhale). Già sentito, sì, eppure l'album d'esordio, "Molesting The Decapitated" (1999), aveva una sua opprimente freschezza, rivisitando gli stilemi classici del brutal in chiave ancora più esasperata e aggiungendo al tutto un groove lento e spaccaossa che, dài, non poteva non gasarti. Ma dopo quell'album, basta. Sono seguiti due lavori assolutamente indistinguibili e tutto sommato piatti. "Unleash The Carnivore" è esattamente la fotocopia degli album precedenti, e già questo basta a bollarlo come un disco semi-inutile. Difficile dirne di più: le otto tracce contenute in questo full-lenght formano una colata ininterrotta di 34 minuti, senza pause, senza assoli, senza alcun accenno di melodia che renda l'atmosfera meno soffocante. Più che di canzoni, si tratta di pretesti per impastare assieme tonnellate di riff e grugniti.

Si dirà che ai gruppi brutal, che hanno come unico scopo (anche se non mancano le eccezioni, per fortuna!) quello di "spaccare", dell'inventiva e della voglia di non ripetersi non freghi, e non debba fregare, una beneamata pippa. Vero, in parte. Ma, a parte il discorso degli album tutti uguali, è proprio lo stile dei Devourment a non sembrare granché originale. L'attenzione maniacale alla forma, al "come si deve fare per essere true e spaccare il culo", va enormemente a scapito del feeling, col risultato che "Unleash The Carnivore" non infonde alcuna emozione. Suona pesante come uno schiacciasassi, ma è pochissimo coinvolgente. Il fatto è che il macello perpetrato dai nostri, per quanto possa essere esaltante, si regge su un'idea musicale quanto mai banale: prendere il brutal e portarlo all'ipertrofia. Però - questo almeno è il mio personalissimo parere - non è rendendo la musica ancora più pesante e incasinata che si può dire qualcosa di nuovo in un genere già parossistico di suo come il death metal. E non parlo di grandi innovazioni ma semplicemente di qualcosa che si differenzi un minimo dalla marea di proposte affini.

Tirando le somme. Vi sarete accorti che ho parlato un po' (poco) di "Unleash The Carnivore", un po' dello stile dei Devourment, un po' del brutal death in generale. Provo a fare ordine e a dare un senso a questa pseudo-recensione. Riguardo quest'album, come dicevo, è uguale ai precedenti lavori dei nostri, quindi lo consiglio solo ai brutallari di più stretta disciplina: per gli altri è tranquillamente prescindibile. Tanto vale che vi ascoltiate l'album d'esordio. Quanto ai Devourment e al loro stile, diciamo che sono certamente dei buoni musicisti, altrimenti certa roba non potrebbero neppure concepirla, e una discreta band underground; di qui però a definirli un gruppo originale o addirittura i fondatori di un nuovo sottogenere, che si distingue dal brutal death canonico come il nero-pece si distingue dal nero-notte, ce ne vuole. Con buona pace dei recensori che se li portano in palma di mano.

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