Si è detto spesso, e a mio parere sbagliando in pieno, che il prog italiano degli ultimi 20 anni abbia prodotto poco e di qualità misera. Per confutare, ancora una volta, questa funerea ed erronea espressione, corre obbligo presentare la nuova uscita di questo poderoso e portentoso gruppo veneto.

I D.F.A. acronimo di Duty Free Area, come comprensibile dal titolo del disco, sono alla quarta uscita ufficiale. La loro discografia, parca quanto magicamente interessante, vide la prima uscita nel 1995 con un lavoro praticamente passato inosservato. Vero che presentava alcuni aspetti di dolce ingenuità, ma era chiaro preambolo all'esplosione sonora che sarebbe stato il successivo "Lavori In Corso" del 1997. Ancora meglio, sia in termini di qualità compositiva, sia di maturazione e indipendenza stilistica, sia anche per esecuzione tout-court, il terzo lavoro "Duty Free Area" del 1999. Poi più nulla: la band sembrò andare verso il disfacimento totale, ma in realtà il lavoro non si fermò e continuò in maniera forse sotterranea e poco appariscente e, grazie all'aiuto della prestigiosa etichetta Moonjune, la nuova uscita è giunta sul mercato nel 2008.

Il nuovo lavoro riprende i temi già percorsi, fatti di jazz-rock e fusion di stampo apertamente Canterbury, ma ricco di sollecitazioni sonore mediterranee secondo tipologie più riconducibili a gruppi come Arti & Mestieri o Perigeo. Ma non si tratta, ovviamente, di semplice riproposizione: i temi sono espansi, dilatati alla ricerca di suoni e metodi che toccano il classicismo del jazz e della classica cameristica del ?900, toccano nomi noti e grandi del progressive inglese come Gentle Giant o King Crimson e toccano, non ultimi, i suoni della tradizione folk mediterranea. Proprio in questo senso è doveroso citare il brano di chiusura "La ballata de s'isposa 'e Mannorri" forse tra le più belle e particolari cose prodotte in Italia negli ultimi lustri. Impossibile non citare anche le mirabolanti trame del brano "Mosoq Runa" per venti minuti di escursioni di grande qualità e levatura sonora, ricco di trovate a sorpresa e senza un attimo di noia, con una eterea e immaginifica introduzione di violoncello.

Il quartetto base: Alberto de Grandis (batteria, percussioni e voce), Alberto Bonomi (tastiere e flauto), Silvio Minella (chitarre) e Luca Baldassari (basso elettrico) rappresentano attualmente il meglio che si possa chiedere in fatto di qualità tecnica e sonora in genere. La grande scuola salta fuori ad ogni nota e non c'è nota in questo disco che risulti superflua o artefatta. Gli ospiti: Zoltan Szabo (violoncello), Maria Vicentini (violino e viola), Elena Nulchis, Cristina Lanzi, Egidiana Carta (voci) fornisco il giusto compendio sonoro ad un'opera che deve rimanere, e sono convinto rimarrà, non solo tra le migliori uscite italiane dello scorso anno, ma certamente dell'ultimo decennio.

Carico i commenti...  con calma