Credo sia passato ormai parecchio tempo da quando ho sentito un album Progressive nel vero senso del termine. Probabilmente era il tempo in cui sentivo a manetta “Selling England By The Pound” dei Genesis, o l’omonimo disco dei nostrani Banco Del Mutuo Soccorso. Poi si sa, una persona cambia band, generi, e molte delle volte ripudia i gruppi con cui era in fissa un paio di anni prima. Dopo un po’ di tempo però, vuoi un ulteriore noia nel sentire i gruppi cosiddetti “nuovi”, non tanto per la qualità musicale ma per la ripetizione a oltranza dei pezzi che si conoscono a menadito, si sente il bisogno o di spaziare su nuovi generi, o di tornare con la mente e con le orecchie a quei gruppi che si erano lasciati dietro.

Nel mio caso specifico, ho fatto tutte e due le cose. Sono tornato a sentire qualche band che avevo abbandonato anni or sono, e nel contempo ne ho scoperte altre delle quali non avevo mai letto mezza riga, ma delle quali poi è stata la musica a parlare per sé. Parlo nel particolare dei DGM, gruppo Progressive Metal italiano con venature Power, fondato da Diego Reali (chitarra), Gianfranco Tassella (batteria) e Maurizio Pariotti alle tastiere. Successivamente poi si uniranno a loro Marco Marchiori al basso, e Luciano Regoli alla voce.

Nel 1997 questa promettente band, sulla scia dell’EP autoprodotto “Acces Random Zone”, pubblicò il loro primo full lenght “Change Direction”. Introdotto da una copertina sullo stile degli Stratovarius, il disco raccoglie in sé molte influenze musicali, riuscendo però a mantenere sempre una sua personalità ben precisa.

E’ il caso dell’iniziale “Brainstorming”, che inizia con un ottimo riff serrato e che dopo un minuto lascia libera la voce di Regoli, la quale ricorda subito quella di un certo Geoff Tate, soprattutto nelle tonalità basse. Come se fosse anche una coincidenza, quello che si nota subito è la grande influenza dei primi Queensryche che si fa sentire in questi pezzi, come se dischi come “Rage For Order” e “Operation: Mindcrime” fossero stati ben assimilati e riprodotti dieci anni dopo in un disco che gli paga il giusto tributo, come si può sentire su “Lonely Nights”. Altro fattore assolutamente non trascurabile, è l’uso magistrale delle tastiere da parte di Pariotti, come nella parte centrale di “Anthem”, che ricorda in parte i Dream Theater di “Awake”, senza però scivolare nel semplice copiare e incollare, ma dandogli sempre un pizzico di carattere. Purtroppo non è tutto rose e fiori, parlo nello specifico della Titletrack che pur avendo un buon potenziale, si perde nei troppi cambi di tempo e in soluzioni che mal si sposano fra di loro. La voce di Regoli, ottima come detto in precedenza, a mio parere comincia a perdere punti quando si avvicina a tonalità troppo alte, come in “Do What You Want”, classico pezzo che passa e neanche ti accorgi di aver ascoltato. “Flyin’ Fantasy” è invece un ulteriore ottima prova di Pariotti nel riuscire a stare passo passo con gli assoli quasi Malmsteeniani di Reali. Da lodare invece la produzione, soprattutto contestualizzando il periodo di uscita del disco dove uscivano sì gran dischi, ma spesso on produzioni abbastanza infime.

“Change Direction” è quindi un disco che riesce a identificarsi con un ottima prova di musicisti e cantante, ma che forse pecca in troppi eccessi e parti che se tagliate avrebbero reso più scorrevole e coinvolgente l’ascolto. Ma comunque è un prodotto da non ignorare, soprattutto per gli amanti di sonorità anni 80’ sperimentali rivisitate in chiave moderna.

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