Non è un disco da compilation, è una storia da fare sul divano in una sera fredda, è un uscire dall'incipiente inverno per calarsi in un'atmosfera desertica, dove intorno non c'è nulla.

E' proprio questa sensazione di nulla intorno ad attraversare tutta questa produzione, gli strumenti suonano senza ostacoli e lo respiri, la tromba di Markus Stockhausen non può avere eco, vola via lontano senza nessun rimbalzo, come le corde dell'oud di Dhafer Youssef.

L'oud, il sultano degli strumenti econdo gli arabi, letteralmente "legno", suona di sabbia e sudore e lamento, lamento di solitudine, lamento semplicemente del fatto di essere uomini in uno spazio così grande come una distesa desertica può essere. E il canto di Dhafer Youssef sembra voler dire io sono qui, qualcuno mi ascolta? Non è un lamento d'amore per una donna perchè qui il problema non è arrivato ancora così lontano, è un lamento di vento forte, di calore inaccettabile, di animale in cerca del suo simile. Pur essendo tunisino Youssef si fa portatore di un'Africa più profonda, più remota, lontana dalle problematiche islamiche ma più vicina alle radici dell'umanità in quanto tale, nella costante ricerca di equilibrio tra solitudine e volontà di comunione. Tutti i musicisti si integrano alla perfezione, a parte il già citato e ottimo  Markus Stockhausen, anche la chitarra di Nguyên Lê e il basso orientale di Renaud Garcia-Fons partecipano attivamente all'immersione in questa atmosfera così rarefatta. Le percussioni di Jatinder Thakur si fanno strumento e non accompagnano ma dialogano.

Il cd si apre con "Tarannoum", un canto di disperazione di solo Oud e voce, in cui il bellissimo timbro di Dhafer Youssef ha modo di rivelarsi all'ascoltatore e di trasportarlo dall'altre parte del Mediterraneo. In "Iman" il disco si manifesta nella sua interezza e la tromba di Stockausen fa il verso all'Oud e alla chitarra, tre strumenti che suonano le stesse note e che vengono interrotti dal basso e dalla voce che si disperde alta e lontanissima. "Ekill" mi ha ricordato certe sensazioni già respirate in certi pezzi di King Sunny Ade, col tamburo parlante sempre in evidenza. Poi sempre più deserto fino alla malinconica "L'Ange Aveugle" che chiude il lavoro con la tromba cupissima che si dilegua lentamente.

Fortemente consigliati gli altri dischi sia di Dhafer Youssef che di Renaud Garcia-Fons.

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