The Dark Blood Rising esce nel 2001, sotto la nostrana Code666 e rappresenta l'ultimo full-length (e, a parer mio, il capolavoro) per questa band svedese, formatasi nel 1994 e ancora attiva. Il genere proposto è un Industrial Black Metal abbastanza pulito, compatibilmente alla produzione di un disco Black, e molto veloce, arricchito da tastiere e samples vari, che contribuiscono a rendere la proposta molto interessante, anche per i meno appassionati delle sonorità più estreme. La mente della band è il geniale Sasrof, già conosciuto per le sue collaborazioni con Aborym e Nattefrost dei Carpathian Forest nella band Bloodline, che si occupa della chitarra, del basso e della drum-machine, che è la scelta stilistica che più caratterizza i Diabolicum e che più contribuisce a rendere freddo e meccanico quest'album.

Il disco si apre con "March of the Misanthrope", una song-intro che nei suoi due minuti fornisce già perfettamente un'idea di come suoni quest'album: chitarre sature e spezzate, tastiere minimali ma efficaci, drum-machine tirata al massimo, stacchi continui e samples parlati. Continua "Heavens Die", ossessiva, robotica dove la parte del leone continua a farla una drum-machine gelida e perfetta, e che verso la metà della song si trasforma in una partitura drum 'n bass, accompagnata da una voce cupa e marziale, per poi riprendere più veloce di prima, mentre il singer Kvarforth (già in Shining) violenta le strofe, alternando scream allucinati a parti più growl. Segue "...", altro sample che introduce "The hatecrowned retaliation", canzone più canonica, molto veloce, dai mid-tempos glaciali, che rallenta verso la fine per poi concludere con l'assolo, velocissimo, allucinato, assurdo e raggelante. "The War Tide (All Out Genocide)" parte cadenzata, esplode e poi si trasforma, diventa minimale, di nuovo partiture trance-techno, samples femminili, rallentamenti, sfuriate, assolo, blast-beat, assolo, riff quasi thrash, insomma: il chaos fatto canzone e il risultato è comunque dei più piacevoli. Parte subito la title-track; bellissima e ispirata apertura di tastiera,  si aggiungono drums, chitarre e voce, e la canzone prende forma, incalzante e desolante nella sua meccanica (im)perfezione; la dissolvenza lascia spazio a "The Sound of the Horns Of Reprisal", non una canzone ma una dichiarazione di guerra, urlata con fermezza e con la forza della disperazione. E' il momento di "Bloodspawn", secondo me highlight dell'album, dove la solita batteria artificiale viene affiancata da un riff di tastiera paranoico e dalle chitarre taglienti e distorte allo spasmo, da una voce infernale alternata a voci femminili pulite e da suoni da guerra mondiale che, nel mezzo della canzone sostituiscono del tutto la batteria e, mentre un arpeggio debole e malato li accompagna parte l'assolo come un colpo di cannone e la song riprende in tutta la sua potenza. "The Song of Suffering" ci offre un momento di riposo, con il suo avanzare lentissimo e paranoico, il bellissimo riff continuo, le voci pulite e l'assolo conclusivo non tecnico, ma molto sentito. L'ultima vera e propria canzone dell'album è "Into the Dementia", song dal sapore thrash, molto veloce e scarna, che si conclude con un batteria-tastiera molto marziale. Chiude il tutto "The Nemesis Speaks...", pezzo parlato che ci dice molto semplicemente: "There is no forgiveness unless blood is shed". Come si può notare le tematiche del disco son quelle care al genere: guerra, misantropia, ma sopratutto scenari post-apocalittici, deserti e freddi e desolanti, anti-umani. Scenari in cui i Diabolicum sono abituati ad aggirarsi e dei quali sanno vedere il lato affascinanante e poetico, dei quali si nutrono, per poi trasformare sensazioni in note.

Considero questo cd un lavoro molto sincero e molto valido e lo consiglio a qualunque appasionato del genere che voglia arricchire la propria conoscenza; per i profani non penso sia un disco molto indicato, in quanto molto complesso e di non immediata comprensione e, sicuramente rappresenta, per l'evoluzione del genere, non un inizio, ma un traguardo.

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