Il connubio voce-piano è sicuramente una forma spiccatamente "autoreferenziale" per un musicista con un minimo di carriera: fa scintillare i pregi dell'interprete ma ne mostra anche i limiti nero su bianco. La Galàs si presenta in questa veste da 15 anni (salvo brevi interruzioni note al grande pubblico), eppure ancora oggi emoziona e incide in profondità, seppur sempre nella "solita" gamma a cui ci ha abituati.

Registrato live come sempre, Diamanda ci delizia delle sue improvvisazioni jazzate turbolente e di linee vocali assolutamente imprevedibili, anche se siamo ben lontani dalle spericolatezze di "Malediction & Prayer" (1998) e dalla cupa teatralità di "The Singer" (1992). Sicuramente la scelta dei brani (tutte cover, praticamente irriconoscibili dalle originali) rende giustizia al precedente album della Signora ("La Serpenta Canta", 2003), un recital che assomigliava più ad un greatest hits assemblato in tutta fretta che ad un concept a se stante.

Amore, sesso, vita e morte: questi sarebbero i temi principali in sintesi. Cosa c'è di nuovo in questa cantante d'avanguardia (lo è ancora?).

 La Galàs finge di fare delle semplici "homicidal love songs", ma quando canta

"Shall I wait by the grave
For my lost lover's kiss?

Stop the bell! Stop the bell!!
I've no tears left to cry
Must I stay here in hell?
Lord above, let me die...

Heaven have mercy!"

come possiamo liquidarla così, in un istante, e dire -è solo amore- ?

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