Ho sempre odiato le ristampe che vanno ad intaccare il contenuto originale di un'opera, magari infarcendolo di inutili bonus track esclusivamente per alzare il prezzo del cd, o, peggio ancora, zeppando su uno stesso supporto due differenti album, che magari poco hanno in comune. In questo caso, ritengo di poter davvero fare un'eccezione: di fatto, imbattersi nei primi due capitoli della trilogia della "Maschera della Morte Rossa" di Diamanda Galas, uno di seguito all'altro e al prezzo di un solo cd (per giunta mid-price!) è davvero un'occasione da non perdere! Vuoi per la continuità stilistica e concettuale fra i due lavori (usciti nello stesso anno, il 1986), vuoi per l'esiguità della loro durata (nemmeno settanta minuti in due), alla fine della fiera l'impressione è quella di trovarsi innanzi ad un'opera unica, con il vantaggio di avere una visione più completa e continuativa del concept rappresentato.

"The Divine Punishment" e "Saint of the Pit" (assieme a "You must be Certain of the Devil", che però va a percorre tracciati stilistici diversi, orientati ad una musica più canonica e vicina alle tradizioni del rock e del blues) compongono la monumentale trilogia che l'artista, in seguito alla morte del fratello avvenuta nel 1986, ha dedicato alla piaga dell'AIDS: un percorso di meditazione e di denuncia che culminerà con la cruenta interpretazione dal vivo "Plague Mass", comunemente ritenuta l'apice artistico della cantante greco-americana.
I due lavori qui considerati rappresentano al meglio la fase avanguardistica della Diamandona, e, seppur meno caotici ed anarchici degli episodi precedenti, rimangono pur sempre fra le esperienze più traumatiche che si possano avere in musica.

Rispetto che in passato, di fatto, la Galas sembra avere le idee più chiare, forse è proprio l'estrema complessità del concept, la delicatezza dei temi trattati ed il coinvolgimento personale nelle vicende ad imporle una certa cautela dialettica ed una condotta più ordinata. Ma è proprio questa lucidità di intenti, questo procedere per argomentazioni che permette all'artista di impiegare in modo più efficace le proprie energie, dosare la tracotante forza espressiva e quindi evitare inutili dispersioni. La furia degli esordi non è affatto assopita, è anzi razionalmente incanalata e tenuta a freno in modo da poter fare più male al momento in cui verrà sguinzagliata. E non è un caso che qui troveremo i momenti più intensi e i crescendo più micidiali dell'intera carriera della cantante.

Da un punto di vista strettamente musicale, i due lavori, ed in particolare il primo, costituiscono una galleria di immagini orribili e desolanti che è davvero difficile poter descrivere a parole senza scadere in un'enfasi eccessiva. Sulla base di minimali fraseggi di synth, situazioni ambientali e sporadiche percussioni, è la voce della cantante, con le sue quattro ottave di ampiezza, a farla giustamente da padrona. Un incredibile campionario di sibili, grida e lamenti che la dotatissima cantante adotta per impersonificare, di volta in volta, tutti i personaggi della tragedia rappresentata: da un lato gli "appestati", i malati di AIDS, ostracizzati dalla società ed abbandonati a loro stessi e alle loro atroci sofferenze; dall'altro gli "inquisitori", il mondo dei benpensanti, la "società bene" che, fra indifferenza, paura, sospetto e perfino ribrezzo, emargina queste persone trattandole alla stregua di untori.
Un attacco che attinge provocatoriamente dall'Antico Testamento ed è diretto in primis alle autorità ecclesiastiche ed alle manifestazioni più bigotte ed ipocrite della morale cristiana. La figura di un Dio indifferente e disinteressato alle sofferenze degli uomini, fino a raggiungere inauditi picchi di crudeltà e sadismo, non ha quindi niente di blasfemo. E la "facciata satanica" (il Diavolo, più vicino alla natura umana, potendone comprendere i vizi e le debolezze, diviene un dio umano e misericordioso, un dio per gli uomini, più vicino alle sofferenze terrene e reali dell'umanità) vuole essere solamente una provocazione per un sistema sociale cinico e spietato: la rappresentazione metaforica ideale per portare avanti una denuncia dai risvolti politici e sociali ben più concreta e radicata nella realtà quotidiana di quanto questa musica dalle lugubri ambientazioni esoteriche possa far pensare.

"The Divine Punishment" si struttura in due lunghissime composizioni, rispettivamente divise in sei e tre sezioni.
Le atmosfere sono quelle di una caccia alle streghe, e la marcia spietata degli inquisitori si articola fra i toni declamatori dell'iniziale "This is the Law of the Plague", e i terribili scenari di sofferenza che seguiranno, ora descritti da lontani e suggestivi canti ellenici ed arabeggianti, ora da assoli vocali, acuti e virtuosismi degni di una cantante lirica, ora da orge sonore in cui la voce spettrale della Galas si moltiplica e va a tessere scenari agghiaccianti e dalla forte suggestione onomatopeica (il ronzare dei mosconi di un girone infernale, il gracidare di rane impazzite in uno stagno maledetto, il gracchiare di corvi che si avventano minacciosamente sul moribondo).
Rantoli, sospiri, versacci, efferate growl, lamenti al limite della sopportabilità, perfino la voce creccuta di un bambino: tutto ciò che può essere emesso da bocca umana diviene utile per descrivere l'inferno di un malato terminale, e la fredda elettronica dà quel giusto tocco di squallore tale da farci immedesimare in una corsia d'ospedale (metafisica). Un susseguirsi di quadri e paesaggi, fra inquietudine, tensione e scoppi improvvisi di follia, che culmineranno nel momento di massima intensità dell'opera, la conclusiva "Io sono l'Anticristo", cantata in italiano (e lo strano accento della Galas non fa che rendere il tutto ancora più demoniaco), in cui la voce sgraziata della cantante va a tessere un cerimoniale agghiacciante, un crescendo di imponente marzialità in cui le grida distorte e disperate ci impongono di abbassare il volume dello stereo onde evitare che il vicino di casa chiami il 113!

"Saint of the Pit" smorza leggermente i toni e ci consegna una Diamanda Galas più umana ma sempre dannatamente determinata a perseguire i propri intenti polemici.
"La Treizième Revient" è una malata overture di organo, una traccia strumentale folle e visionaria che si pone a metà strada fra un rito evocativo e un sabba di streghe. "Deliver Me" è invece un assolo vocale arabeggiante che riprende il tema dell'omonima traccia presente sul tomo precedente. Due episodi propedeutici, questi, che introducono al vero corpus dell'album, le tre tracce successive, nelle quali vengono declamati rispettivamente i versi di Baudelaire, Nerval e Corbière. "Heauton Timoroumenos" alterna un inquieto sussurro ad ammalianti melodie di sirene (sia quelle di Ulisse che quelle dell'ambulanza!), mentre "Artèmis" è una cupa e minacciosa nenia sorretta da un corposo giro di pianoforte e dal canto oscuro e teatrale della Galas. Ma il vero apice dell'album (e forse dell'intera carriera dell'artista) sono i dodici devastanti ed opprimenti minuti che compongono la monumentale "Cris D'Aveugle": fra voci sovraincise, salmi gregoriani, filastrocche per bambini, mitragliate epilettiche e grida disperate, la traccia costituisce il vertice della tetralità della Galas, e nel crescendo marziale ed inquisitorio del brano si condensano tutte le capacità vocali di questa incredibile e disumana cantante, che allestisce un'orgia sonora davvero imponente e formalmente ineccepibile, una cattedrale di suoni che si sgretolerà insieme alle nostre orecchie fino a ridursi ad un rantolo spezzato, patetico nella sua invocazione di pietà, perfetto commiato per la tragedia rappresentata.

Il viaggio della Galas proseguirà per lidi più confortanti, ma non meno intriganti, già con il successivo capitolo della saga, che, come si diceva all'inizio, vedrà la cantante abbandonare temporaneamente i terreni ostici dell'avanguardia per misurarsi con il formato canzone. Questi due album, ottimi per chi vuole esplorare il lato più spettrale ed iconoclastico di questa artista unica e senza compromessi, rimangono senz'altro fra gli episodi più convincenti di una eccezionale carriera che a mio parere non incontrerà mai veri momenti di cedimento o battute di arresto. Ascoltare per credere.

Elenco tracce testi e video

01   Deliver Me From Mine Enemies (19:17)

02   Free Among the Dead (13:36)

03   La Treizième revient (05:04)

04   Εξελόυμε (07:19)

05   L'heautontimoroumenos (06:49)

06   Artémis (05:02)

And she is still the only one, or is this the only moment;
For you are surely queen, first and last?
For you are surely king, O first and last lover?...
Love the one who loves you from the cradle to the grave;
The one alone I love loves me dearly still:
She is death - or the dead one... Delight or torment!
And the rose she holds is the hollyhock.
Saint of Naples with your hands full of fire,
Mauve-hearted rose, flower of Saint Gudule:
Have you discovered your cross in the desert of the skies?
White roses, fall! you offend our gods,

07   Cris d'aveugle (12:17)

Carico i commenti...  con calma