Ricordo, come fosse oggi, l'acquisto del tanto atteso disco di ritorno, degli inglesi Diamond Head, sì quelli  venerati da Lars Ulrich dei Metallica, uno dei gruppi della NWOBHM più sfortunati e poco considerati. Ricordo, anche, la mezza delusione che mi assalì dopo l'scolto dell'intero cd, data di uscita 1993.

Strombazzato dalla grande pubblicità mediatica data all'epoca dalle maggiori testate giornalistiche del settore e forte di collaborazioni di tutto rispetto come il riffer metal per antonomasia Tony Iommi e dal rosso crinito Dave Mustaine, il lavoro aveva tutte le carte in regola per ripresentare i Diamond Head dal punto in cui avevano abbandonato le scene nel lontano 1985, dopo quel capolavoro di classe metal che fu "Canterbury" (1983).

Il nome dei Diamond Head, dalla data dello scioglimento, continuò a girare negli ambienti metal grazie alla promozione , su questo bisogna darne atto, fatta loro dai quattro cavalieri di Frisco che inserirono nei loro vari "Garage Days", canzoni della coppia Sean Harris/Brian Tatler, songs come "Helpless", "Am I Evil?", "The Prince" e più recentemente "It's Electric" vengono riproposte talmente sovente dai Metallica, in sede live, da diventare quasi canzoni di loro proprieta'.

Spinti da questa rinnovata voglia di Diamond Head, la coppia Harris (voce)/Tatler(chitarre) recluta un nuovo bassista, Karl Wilcox e un nuovo batterista, Pete Vuckovic e ritorna in pista con questo nuovo album e con alcuni concerti proprio di apertura per i Metallica.

L'inizio dell'album è da brivido, "Starcrossed (Lovers of the Night)", scritta in collaborazione con Tony Iommi, presente anche alla chitarra, lascia intravedere un sound moderno e pesante reso lugubre dal tocco sabbathiano con repentine accelerazioni speed. Canzone d'apertura migliore non poteva esserci. La seguente "Truckin'" prodotta e suonata dalla chitarra di Mustaine non è da meno e potrebbe benissimo fare da sampler per i Megadeth che ci aspetteranno in "Youthanasia".

Harris è in grande forma e l'inizio plantiano di "Calling your name (The Light)" è lì a dimostrarlo. Canzone che deve molto al dirigibile, ma assolutamente splendida. Ma purtroppo il disco sembra finire qui, almeno per il sottoscritto. Quello che seguirà è un hard rock dal forte sapore americano con cori banali di facile assimilazione, suonato e cantato alla grande ma il tutto sa di già sentito. Con qualche strizzatina d'occhio all'hard americano di Bon Jovi periodo "Keep the Faith" che purtroppo fa svanire le buone aspettative che riservavano le prime tre songs. Nemmeno una "Wild in the Streets", canzone scritta agli albori della band e poi messa nei cassetti fa gridare al miracolo, capendo quindi il perchè questa canzone finì per anni insieme a calzini e mutande.

Insomma una occasione sprecata che ancora oggi grida vendetta. I Diamond Head continuano ad esistere sotto le più svariate formazioni, ma non sembrano in grado di ripetere le gesta dei primi anni, quindi sotto con i Metallica e le loro cover.

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