Cresciuta a pane e gospel, con contatti con la cultura popolare praticamente nulli per volere del padre, pastore avventista il cui lavoro obbligava lui e la sua famiglia a trasferirsi un po' dappertutto intorno al globo terrestre, Diane Birch è una cantautrice e pianista di grande talento che, nel 2009, dopo essersi fatta notare su MySpace e aver firmato un contratto con la S-Curve Records, dà alle stampe "Bible Belt", sorprendente album di debutto interamente scritto e composto da lei. Sorprendente anzitutto perchè, al primo impatto con la copertina, sembrerebbe di avere tra le mani il CD di una Lily Allen o di una divetta del pop pseudo-indie qualsiasi, quando invece ci si trova di fronte a un disco di tutt'altro spessore: trattasi infatti di puro e semplice soul, in cui si fanno pesantemente sentire le influenze della musica gospel che per molti anni è stata l'unica che a Diane è stato concesso ascoltare. Il "catalogo influenze" però non si ferma qui: il fantasma di Laura Nyro è presente per tutta la durata di "Bible Belt", così come quello di Carole King e, ultimo, ma non meno importante, dell'Elton John dei tempi migliori (si ascolti ad esempio il piano di "Ariel" e "Rewind"). Non manca anche qualche richiamo a Fiona Apple, riscontrabile soprattutto nell'eccentrica "Choo Choo".
Tuttavia è di soul e gospel che si parlava prima: eccoci dunque presentati alle orecchie gli azzeccatissimi cori dei ritornelli di "Mirror Mirror", "Fire Escape" e "Fools", con qualche parentesi più scanzonata come l'orecchiabilissima "Valentino", che una volta ascoltata ed entrata in testa da lì non esce più (andatevi peraltro a vedere il simpatico videoclip che accompagna il pezzo, veramente riuscito e originale). Non manca poi qualche ammiccamento all'R&B, sempre ovviamente permeato di gospel ("Rise Up", "Don't Wait Up") e qualche pezzo un pochino più pop ("Photograph", "Nothing but A Miracle"). Il tutto è ovviamente permeato da un'atmosfera retrò che, date le influenze e il genere musicale, era inevitabile riscontrare durante l'ascolto, ma che non tutti sarebbero stati in grado di rendere a questi livelli: pur essendo registrato con tecnologie moderne, il lavoro risulta infatti tutt'altro che freddo o artificiale come quello di colleghe ben più note (la sopravvalutatissima Amy Winehouse su tutte), anzi, sembra quasi che il disco sia stato composto e pubblicato proprio in quegli anni a cui Diane musicalmente si ispira. Un plauso dunque a produttori e arrangiatori, che sono riusciti a rendere "Bible Belt" un lavoro fuori dal tempo, ma al contempo attuale e piacevole, merito anche della voce della Birch, calda, profonda e piacevolmente nasale, nonchè estensivamente valida. Se proprio vogliamo trovare un difetto in questo debutto, possiamo constatare come esso non introduca alcuna novità in un genere musicale che, merito o colpa soprattutto del trend inaugurato dalla Winehouse e portato avanti dalla collega Adele, risulta ormai alquanto inflazionato; non aspettatevi insomma la schizofrenia di una Janelle Monàe e del suo neo-soul o chissà quale ardita sperimentazione, ma chi ha detto che ciò deve essere per forza un male?
Concludendo, "Bible Belt" è un album ben fatto, suonato bene e cantato ottimamente, che non innova un genere musicale, ma che neanche si propone di farlo e che potrebbe piacere a chi cerca un po' di piacevole musica di sottofondo per i pomeriggi estivi che (purtroppo? Per fortuna?) sono ormai prossimi.
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