Già mi preparo all’estate. Le zanzare e i vari insettini odiosi, di cui ho paura e che puntualmente faccio fuori alla faccia del mio amore per gli animali, mi danno il tormento e mi ricordano che sta cambiando stagione. Sotto la luce accesa, artificiale, della mia stanza, altrettanto artificiale, fischietto un motivetto nella testa e automaticamente penso a “Pulp Fiction”. E pensare che io “Misirlou”, quando la ascoltai per la prima volta, la collegai mentalmente ai Black Eyed Peas che ne avevano usato un sample per una loro obbrobriosa hit di cui andavo matto nel lontano 2005!? L’assolo di chitarra di Dick Dale destinato all’immortalità mi riempie le orecchie e mi lascio inebriare dai suoni invisibili ma così presenti, così veri. Mi preparo all’estate così, facendo finta che esista solo quel solo di chitarra, e riconoscendo che dopotutto vale la pena sopportare una stagione di tormentoni tamarri che tutti ballano, quando dentro di me so che estate vuol dire un’altra cosa e non quella spazzatura di massa. Immagino il surf e i primi ’60 e i seni abbronzati e i petti scultorei di americani fieri di essere – e di essere americani –. Io da parte mia mi sento cosmopolita e porto “Misirlou” qua nel mio spazio ristretto, contestualizzandola, mettendola come sottofondo ideale all’immagine di una piscina pubblica di provincia, dove gli unici surfisti sono gli insettini attaccati ai costumi gonfiati dall’acqua. Riguardo all’America, bisogna fare una precisazione: “Misirlou” è in realtà una canzone folkloristica greca, quindi il caro Dick Dale ha adottato a sua volta la canzone, da bravo cosmopolita.

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