DIDO – LIVE AT THE BRIXTON ACADEMY

Signori e signore, Dido live. E quando dico Dido è già una sensazione indescrivibile, poi dico live ed è pura commozione.

Ok, non ci sono extra nel dvd, ma me ne faccio una ragione perché c’è il bonus cd così mi posso commuovere anche in macchina. Londra Agosto 2004: piove, e non è una novità. La novità per me è l’intro di “Stoned” che accompagna le immagini della capitale britannica, visto che ho sempre sentito questo pezzo come l’anello che collega Dido alla sua precedente esperienza con i Faithless di suo fratello Rollo. Atmosfere dance, voce “alla scandinava” fredda e priva della solita bellezza tridimensionale e suadente. E invece no: basso, percussioni e tastiere. Alla carica, sembrano urlare i piatti del batterista Alex.

Dido comincia piano: sembra non voglia strafare con “Stoned”, ma mi sbaglio di grosso. La canzone è stata riarrangiata alla grande, imponente, maestosa, splendida nella parte rullante/voce. Si procede con l’arcinota “Here With Me”, per tutti i nostalgici del mondo, eseguita così com’è per non deludere i fan. “See you When you’ re 40” e poi capisci quale sia la potente magia di Dido: anche se si strimpellasse solo un capello, il brano sembrerebbe suonato dalla Filarmonica di Berlino. La forza del rullante e la voce ancora una volta insieme nella parte iniziale e l’accelerazione finale. Di seguito la titletrack del secondo album, “Life for Rent”, una chitarra e la voce, ma Dido in versione Guccini fa bene ai timpani. Il faceto di “Hunter”, con le percussioni in primissimo piano; la bellezza e la semplicità della chitarra di Vini in “Isobel”, in cui Dido se ne sbatte del risparmio delle corde vocali e canta rabbiosa al di sopra di ogni distorsore del mondo prima e meravigliosamente piano dopo.

My life” non mi va, il mio idolo pop che fa soul non mi va. “Honestly ok” e si ricomincia, con Dido a parlarci di sé nel suo testo più egoista (più bello?) e Alex che molla la batteria e regala ritmi caraibici con un bongo tom. La grancassa di “Don’ t Leave Home” si fa beffe del rullante e duetta con la chitarra, e la voce di Dido si fa beffe di entrambi superando se stessa. “Chi è Kt Tunstall?” sembra chiedere poi il basso in “Mary’s in India” quando bastano ancora una volta solo due o tre accordi a questa cantastorie per metà francese e metà irlandese che vive a Londra per farci riconciliare con la musica (e il canto). Il cazzeggio generale per “Take my Hand”, il primo brano che Dido dice di aver scritto, si rimpossessa della platea e la prepara a “Thankyou”, attesissimo karaoke della serata.

Stavo giusto cominciando a chiedermi quando sarebbe arrivato il momento di “Sand in my Shoes” (mi sono imposta di non sbirciare la tracklist) ed eccomi accontentata. Alla fine del pezzo sono senza parole per l’indefinibile Dido che con un’interpretazione magistrale ha reso la canzone se possibile ancora più bella. Via di corsa allora verso “White Flag”, tormentone natalizio per gentile concessione della Vodafone, anch’essa eseguita identica alla versione originale per i presenti (che cantano, eccome). Un inchino e via. Macché. Non te ne puoi andar via così, tosa. Torna, si siede al piano e regala il momento più intenso dell’esibizione: “Do you Have a Little Time” in versione “acustica” (ho detto un’eresia, forse?) come l’ha sempre “sentita” anche lei. Un po’ di ricordi in “All you Want”, ravvivata dal live e sicuramente energica. Infine “See the Sun”, prolungata all’infinito dalle tonalità di Dido e dalla chitarra.

Se cercate uno spettacolo pirotecnico, avete sbagliato dvd. Se cercate qualcosa come un’ora e mezzo di musica, beh… ci siamo.

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