C'è stato un momento in cui il rock australiano ci ha salvato la vita. Detta così, sembra una puttanata di notevoli dimensioni. Ed invece...
Eravamo a metà degli anni ottanta, e non sapevamo da che parte girarci. Il post punk era morto, Santa Patti aveva smesso di fare dischi, a New York si facevano tutti, il Paisley Underground fu l'innamoramento di una sola estate. Arrivavano solo suoni sintetici dalla terra d'Albione. Ma la nostra dose di rock'n'roll? Non so proprio chi ebbe l'idea di andare a vedere cosa succedeva dall'altra parte del globo. Può mai essere che nella terra dei canguri qualcuno si ricordi degli immensi Radio Birdman? Sì, se li ricordavano. Celibate Rifles, Hoodoo Gurus, Stems, New Christs, i primi nomi che vengono in mente. Tutti votati, appunto, al rock'n'roll. Quello vero. Fatto di cantine, lattine di birra, decapottabili scassate a 160 all'ora che tagliano autostrade assolate.
Ed ancora: Died Pretty. Se ne escono con due extended che fanno gridare al miracolo, "Out Of The Unknown", con una "Mirror Blues" che in dieci minuti riassume tutto lo scibile, dai Velvet per arrivare ai Television, e "Next To Nothing", dove la furia si stempera in slow insuperabili, "Ambergris" e "Final Twist", tra i migliori che abbiamo mai sentito.
Poi il primo full-length, "Free Dirt", prodotto da Rob Younger, che riconosciamo subito per la copertina: uno skyline mentre arriva la tempesta, e che raffigura benissimo il contenuto: canzoni che partono morbide per travolgerci in cavalcate lisergiche.
Died Pretty suonano rock senza fronzoli, quello che ci immaginiamo stia in paradiso. Hanno masticato tutto il meglio, Dylan e Young, i Velvet e gli Elevators. Lo sputano in forma di ballate dai crescendo maestosi, venate di psichedelia ed umori desertici. Un cantante alto un metro e mezzo, Ronald S. Peno, con il carisma di uno sciamano, a volte tenue, a volte iracondo, ma sempre ispirato. Un organo liquido, che ci ricorda il miglior Manzarek. Un chitarrista che sembra narcolettico e poi sprigiona assoli distorti e devastanti. Una sezione ritmica con un basso rotondo, di quelli che creano giri che ti entrano dentro per sempre. E la capacità di scrivere canzoni come fossero stati baciati in bocca da Euterpe.
"Free Dirt" non ha un momento debole. Dall'iniziale "Life To Go (Landsakes)", impreziosita dallo stupendo piano di Louis Tillett, passando per l'epopea di "Just Skin", con un furibondo assolo di Brett Myers, finendo con l'inappuntabile western sixties di "Through Another Door", Died Pretty ci ricordarono all'epoca cos'è il vero rock. Passione, malessere, schiettezza.
"It's just life, and you don't understand".
Per M: non Te ne sarai andata senza averli mai sentiti? Cazzo, li avresti adorati...
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