Mirage non proprio nelle intenzioni potremmo dire. I Digitalism ce la mettono davvero tutta nel loro terzo, gigantesco album, ben 15 brani per un totale di quasi 80 minuti (!), misure da collection, doppio o triplo album, antologie epiche. Ironicamente il concept del disco sembra proprio quello, ovvero un compendio dell'universo del duo tedesco, una raccolta di brani mai pubblicati in grado di esprimere al meglio l'indole del gruppo. Indole palesemente debitrice dell'electro sound francese forgiato dai Daft Punk e derivati. Ma Mirage butta in pista anche altri ingredienti, direi molto affini al circuito indie: sound sporco, una certa libertà espressiva estranea a logiche commerciali. E' il caso della stupenda Shangri-La, già sentita nella colonna sonora di FIFA 17 e fortunatamente presente in tutto il suo splendore anche qui.

Il problema è che Mirage è sostanzialmente un disco pallosetto che non riesce a sostenere del tutto le smisurate ambizioni, 80 minuti sono tanti gente, e ve lo dice uno che non è certo musicista di professione, ma che nel suo piccolo produce qualcosa per puro piacere personale. Ci vogliono tante, tante idee e soprattutto la capacità di produrre pezzi in grado di giustificare la lunghezza. Insomma, la tentazione del filler si fa tanto più forte quanto è lo spazio da riempire. Questo non significa che il disco sia brutto, beninteso, è un lavoro molto ben prodotto, ma la genialità pop-retrofuturista di Shangri-La rimane un epsiodio isolato di un album francamente interminabile. Numeri vagamente synth pop si alternano a stomper da dancefloor abbastanza sostenuti e pericolosamente esili a livello contenutistico. Il risultato è un disco estremamente lunatico: dall'opener strumentale Arena, di spudorata matrice daftpunkesca (ripresa nella conclusiva Blink) si passa alla popindie Battlecry, molto catchy e caratterizzata da un refrain ruffiano quanto basta. Go Time va a scomodare i Phoenix (rimanendo ancora in Francia, poco sorprendentemente), arriva e parte senza lasciare troppi ricordi, mentre nella rischiosa Operation Breakdown si rischia la carta della resistenza, con i suoi possenti 8 minuti e una struttura sufficientemente dinamica da tenere accesa l'attenzione fino alla fine. Cantato alla Empire of the Sun, atmosfera eighties molto cara al circuito indie, con riff di chitarra elettrica fortemente processati che vanno a comporre un complesso affresco nella seconda parte strumentale. Un episodio non troppo esaltante, ma sostanzialmente riuscito. Power Station, Open Waters,Dynamo e No Cash esplorano gli ambiti dell'house e la techno. Non manca poi la temibile title track, proposta in due parti, che si propone come manifesto delle velleità sperimentali dei Digitalism. 12 minuti di prog elettroncia che cerca di conciliare Alan Parson Project e Jean Michel Jarre in un contesto nuovo e personale. Synth vorticosi in crescendo compongono mosaici sempre più complessi verso il cielo. Nella seconda parte si rimanda addirittura alle colonne sonore di John Carpenter, imprimendo quindi un timbro quasi cinematografico. Il tutto risulta vagamente presuntuoso, totalmente scollato dal resto e probabilmente non davvero necessario, ma il mestiere c'è e non si può negare. The Ism scomoda addirittura l'hip hop, ma sempre stilisticamente compatibile con i buon Christo e Bangalter. Niente di tutto questo riesce a tener testa alle idee, la personalità e la bellezza di Shangri-La, che quando arriva risulta davvero un'oasi rinfrescante; d'altronde ci sarà un motivo se questo è stato il brano scelto dai bravissimi talent scout di Eletronic Arts.

Un disco che merita la piena sufficienza, non fosse solo per il considerevole impegno, ma i risultati sono discontinui. I guizzi limitati a pochi episodi (con Shangri-La che si erge con violenza), non scorre sempre fluido e l'ascoltatore è costretto a degli sforzi evitabili. Evidentemente non c'è ancora la stoffa per produrre un album così lungo senza affidarsi a filler o soluzioni molto, troppo derivative (troppo simile ai Daft Punk a tratti). Magari dategli un ascolto, ma senza troppe aspettative, potrebbe funzionare.


  • Galensorg
    5 ott 16
    Recensione: Opera:
    Ho ascoltato solo il loro disco d'esordio "Idealism", mi era piaciuto parecchio.
    L'artwork di "Mirage" è una figata, ne sono incuriosito. Ti farò sapere!
  • Insect_Reject
    5 ott 16
    Recensione: Opera:
    Idealism = minkia che fiquo. 'Pogo'? 'I Want I Want'? 'Jupiter Room'? Ascoltate all'eccesso. Soprattutto 'Pogo', presente in un altro FIFA (08).
    I Love You, Dude = bene, ma non benissimo
    Mirage = "MANGIA A NONNA CHE È BUONO CHE DEVI CRESCERE" "grazie nonna, è tutto molto buono ma non ho più fame" "TI HO DETTO MANGIA!" "ma nonna... sono sazio! Ti preg-" "MANGIA!"

    Cioè la prima parte dell'album mi piace molto, 'Arena', 'Battlecry', 'Go Time' e soprattutto 'Destination Breakdown'. Il resto è troppo... troppo. Il "doppio Miraggio" lo skippo spesso, a 'No Cash' ballo come uno scemo e 'Dynamo' è caruccia. Il resto non è particolarmente bello o sorprendente. Un po' come 'I Love You, Dude' quindi... ma per quasi 80 minuti. Tantissimi. Sono quindi d'accordo con la tua recensione.
    Dovrebbero concentrarsi più sui brani catchy, in cui sono veramente bravi secondo me e ridurre le cose sperimentali; nel primo album 'Zdarlight' spaccava, anche perché spezzava un po' il ritmo, ma se ascolto i Digitalism, voglio roba fresca e scazzata, non una cover band un po' scarsa dei -due tizi francesi col casco-.
    • Omega Kid
      5 ott 16
      Bravo scacciainsetti, mi hai fatto venire voglia di approfondire la band ed è sempre una buona cosa essere stimolati.
      Visto che l'ho scritto un milione di volte nella rece, direi che mi è piaciuta Snagri-La :D ma anche Battlecry guadagna negli ascolti. Direi che questi la stoffa ce l'hanno eccome (al netto appunto di piantarla di scimmiottare i dafty), magari forse era presto per sparare l'album gargantuesco con aspirazioni antologiche...
  • Workhorse
    6 ott 16
    Recensione: Opera:
    I Digitalism! Ne è passato di tempo, gli altri due dischi li avevo consumati
  • Cryogenos
    1 dic 16
    Recensione: Opera:
    È stata proprio "Shangri-La" ad incuriosirmi su che fine avessero fatto dopo il divertente "Idealism" ed il secondo, curato per metà, "I Love You Dude". Come per il secondo album, raddoppiata tuttavia la durata complessiva, mi sembra che non riescano più a reggere un disco intero. Le prime cinque tracce riescono a tenerti incollato con l'orecchio, ma quando iniziano l'evitabile house/ambient ("Open Waters"/"Mirage") non si riesce più ad ascoltare senza un minimo sforzo. Fortuna che si riprendano proprio su "Shangri-La"; hai fatto bene ad indugiarci così tanto: è il pezzo che fa l'album, verrebbe da dire; solo "Battlecry" e "Go Time" riescono a rimanere ad un livello simile (anche se mai superiore).
  • proggen_ait94
    6 mar 17
    Recensione: Opera:
    concordo al 100%

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