Diiv è una brutalizzazione di "Dive". "Dive" fu uno degli sgorghi d'epica del Cobain d'annata, al quale Zachary Cole, già chitarra nei modesti ed invero docili Beach Fossils, pare ispirarsi nella forma, più che nella sostanza. "Oshin" è il debutto del quartetto americano e sarà sorprendente, date le referenze appena sviscerate, scoprire che il salto, qui, lo si fa dall'altra parte dell'oceano.
L'idea sostanziale è quella di un guitar Pop a metà strada tra i The Wake ed il jangle C86, il tutto filtrato da un'ottica costruzionista - il decennio in cui il Post Punk era decostruzionista è lontano anni luce - di riempimenti e lampi di chitarrismo limpido, non troppo dissimili da quanto fecero i Chameleons intorno alla metà degli anni Ottanta.
Al centro di tutto le canzoni, gioielli armonici mai sopra le righe, confezioni Pop eleganti, impacchettate nel formato loro più consono: il minutaggio breve e la ripetizione. Laddove "How Long Have You Known" o "Wait" sono i singoli che ogni rimastino della golden age inglese dovrebbe mandare a memoria, è interessante notare anche il costrutto vagamente krauto di brani come "Oshin", "(Druun)" (e relativo reprise) o "Air Conditioning" a testimonianza di una padronanza di mezzi, prima ancora che espressivi, antologici, il che, in tempi di hauntology e di sdoganamento delle librerie musicali, non è assolutamente poco.
Ci mette la faccia la Captured Tracks di Brooklyn, etichetta lungimirante per ciò che concerne l'artigianato Pop revisionista, ponendosi come una delle realtà dalla voce più alta in questo 2012, senza voler andare a riprendere Wild Nothing, basti pensare al recentissimo lavoro degli Holograms.
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