"La magia del rinnovamento!": è questo lo slogan scelto dalla rivista Metal Hammer per descrivere "Abrahadabra", il nuovo parto dei Dimmu Borgir. "Magia", perché i norvegesi realizzano un lavoro che, pur non essendo classificabile come concept-album, si ispira allo scrittore seguace dell'occultismo Aleister Crowley (e anche perché pare irreale che i DB siano riusciti a tirare avanti, nonostante l'abbandono di ICS Vortex e Mustis); "rinnovamento", perché il terzetto capitanato da Shagrath "flirta" col Black metal, concedendosi però ampie e varie (pure troppe) libertà.
Beh, forse stavolta di rinnovamento ce n'è stato fin troppo: "Abrahadabra" è un disco in cui, eccezion fatta per la voce sulfurea di Shagrath e qualche riff qua e là, di Black ne è rimasto abbastanza poco: un lavoro che si potrebbe addirittura etichettare come "Extreme symphonic metal". Il risultato? Un album che si fa apprezzare leggermente di più rispetto a "In Sorte Diaboli" (d'altronde, ci voleva davvero poco), ma abbastanza freddino, e non certo per le atmosfere glaciali che vorrebbe evocare (si guardi poi il video di "Gateways", con un Shagrath in versione "caprone satanico e fottuto").
Ascoltando il disco, si nota come le parti sinfoniche e orchestrali (realizzate con la collaborazione della Kringkastingsorkestret, che non è uno scioglilingua ma la "Radio Orchestra Norvegese") e i cori (targati "Schola Cantorum") dominino ora più che mai, conferendo al sound dei Dimmu Borgir un'aura epica e soprannaturale. Non ci si illuda, però: è evidente, infatti, che questi elementi sono usati quasi come "tappabuchi", probabilmente per compensare l'assenza dei due ex-membri, che, spiace dirlo, ha un peso notevole. Lo stesso bassista Snowy Shaw prova ad arrivare alle cime delle vette che Vortex scalava, ma sono tentativi piuttosto futili. Insomma, "Abrahadabra" è un lavoro in cui gli episodi convincenti non si contano neanche sulle dita di una mano ("Born Treacherous" e, secondo me, anche il singolo "Gateways", con una Agneta Kjølsrud sicuramente in buona forma); per il resto, o pezzi dall'architettura banale, o (soprattutto) brani in cui l'esagerazione e la pacchianeria sono palpabili. Tante idee tradotte male, che rendono "Abrahadabra" un lavoro dalla sufficienza scarsa. Insomma, per i Dimmu ancora niente da fare.
Infine, una curiosità: "Abrahadabra" significa "io creo come parlo"; speriamo che, la prossima volta, i DB non prendano questa frase così alla lettera.
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