E così il risveglio del Giovane Dinosauro è andato a buon fine, dissipando i dubbi che aleggiavano intorno alla reunion della sua line up originaria. "Beyond" ha ricevuto un coro quasi unanime di lodi, essendo un album dotato di uno smalto invidiabile, capace di ridare ossigeno alla asfittica scena rock 2007. Perché dunque non fare un passo indietro alle origini dell'avventura di Jay Mascis, Lou Barlow e Murph analizzando l'omonimo debutto dei Dinosaur (all'epoca non ancora Jr), datato 1985 e pubblicato dall'indipendente Homestead?

L'opera prima dei bostoniani rifletteva in pieno le pulsioni di un underground americano in pieno fermento. L'hardcore si era ormai evoluto grazie ai capolavori di Minutemen, Husker du e Black Flag, e Mascis e Barlow si erano già fatti le ossa in tal senso nella hardcore band Deep Wound (in cui J suonava però la batteria). I ritmi fratturati alla Minutemen di "Cats in a bowl" sono un evidente lascito di quel periodo, mentre l'hard di matrice zeppeliniana, ben prima che venisse rimesso sugli altari dal grunge, veniva omaggiato nel per altro trascurabile scimmiottamento di "Whole lotta love" operato su "Mountain man". L'idea di Mascis era comunque quella di avviluppare melodie cristalline, rimandanti nelle costruzioni armoniche un classico allora fuori moda quale Neil Young (qui omaggiato nella morbida circolarità di "Severed Lips", con quel falsetto), dentro una ruvida scorza di rumore, data da convulse e isteriche accelerazioni, come nell'emblematica "Does it flow": un po'come se Neil Young non fosse andato in tour coi Crazy Horse di "Rust never sleeps" nel 1978, bensì cinque anni dopo, in piena epopea hard-core.

La scommessa di Mascis funzionò, soprattutto perché quasi tutti i pezzi qui presenti, nonostante si basino fondamentalmente su due-tre accordi, presentano una vena compositiva fuori dal comune, a cominciare da "The Leper": il basso fende l'aria, la batteria ci si arrampica sopra e una chitarra ruggente irrompe a velocità pazzesca al servizio di melodie assassine, il tutto condito da quella voce annoiata e indolente. Memorabili sono anche lo spigoloso vortice psichedelico di "Pointless", la nevrotica vitalità di "Repulsion", il narcolettico incedere di "Gargoyle"( quasi dei Feelies in acido) mentre "Forget the swan" mise Mascis alla pari di Bob Mould per tensione e ispirazione nel songwriting: limpidi nitori acustici e soffuse tentazioni psichedeliche fendono il consueto muro del feedback, dipingendo quello scenario da slacker's spleen - la prima parte è cantata da Barlow, futuro leader dei Sebadoh, occorre ricordarlo - che avrebbe interpretato il malessere di un'intera generazione pochi anni dopo.

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