L'inizio è affidato a Little fury things, con un urlo lancinante e distorsioni pesanti alla Husker Du, ma piano con i giudizi, l'inganno è dietro l'angolo: l'incedere hardcore è spesso e volentieri miscelato con melodie più morbide e accessibili, il tutto a far da tappeto ad una voce perennemente annoiata e scazzata, che spesso stona che è un piacere: J Mascis vive nel proprio mondo interiore, e le sue canzoni sono tentativi, nemmeno troppo convinti, di comunicare l'incomunicabile, per renderci partecipi dei mali che lo affliggono; ma lo fa come considerandosi già sconfitto in partenza, nascondendosi, ubriacandosi per non provare dolore: l' intimismo come unico modo di porsi nei confronti del mondo.
A contrastare l'atteggiamento rinunciatario della voce ci pensa spesso la musica (come se J Mascis sia più capace di sfogarsi con la chitarra che con la voce): come già detto hardcore '80 (neanche troppo core) che si incontra con un indie rock/pop di alta fattura, volutamente e orgogliosamente lo - fi, ricco di sporcizia chitarristica.
Inutile segnalare qualche pezzo in particolare, il livello è altissimo ovunque, davvero. Già citato, Lou Barlow al basso, poi Murph (?) alla batteria e, ospite alle voci in sottofondo, Lee Ranaldo.
Paladino dell'indie rock americano degli anni '90 con i dinosauri, improbabile e atipico cantastorie da solista, grande autore pop con il progetto The Fog, J rappresenta tutto questo, ma soprattutto ci ha regalato grandi canzoni che hanno un pregio: quello di non farti sentire solo quando tutto ti va di merda.
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