Sulle note di questo bistrattato album cresce il suono dell’inquietudine. Episodio del tutto a se stante nella ultratrentennale carriera del singer italoamenricano, “Angry Machines” fu letteralmente ignorato dai fan. La band fu addirittura costretta ad annullare alcune date del tour di supporto al disco.
Trattasi di metal dai suoni che definirei contorti ed a tratti cacofonici: la verve noise del chitarrista di turno (Tracy Grijalva) sembra inizialmente cozzare di schianto con l’approccio lirico e baroccheggiante del cantato. I testi non fanno più alcun cenno alle tematiche fantasy, marchio di fabbrica del Dio anni settanta ed ottanta, la struttura dei pezzi è spesso costruita al di fuori dei canoni strofa-ritornello, il classico approccio doom delle songs sembra innestato su un ramo di suono spurio, le cosiddette strutture easy-listening sembrano volutamente stroncate a colpi di dissonanze. Questa è la descrizione più o meno esatta di cosa sembrò, appena dopo la sua uscita nei negozi questo lavoro; ciò che un buon "defender" vorrebbe sentirsi dire dallo scribacchino di turno.
“Angry Machines” fu dato alle stampe in un momento nerissimo per le vendite di metal e hard rock in generale. La band fu così costretta a rimboccarsi le maniche e sperimentare, provare soluzioni inedite. “Angry Machines” è una bomba di album, almeno per il sottoscritto: una saga del male lunga tre quarti d'ora e rotti. Il sipario si apre con “Institutional Man”, brano cadenzato dalle lyrics allucinate. I suoni della sei corde di Tracy G. sono un inno alla pazzia, in questo pezzo così come in “Stay Out Of My Mind”, impreziosita dai giochi di effetti delle keys. Ascoltarla mette letteralmente i brividi, la colonna sonora di un incubo schizofrenico. In stile più classico “Don’t Tell The Kids”, in cui Vinnie Appice da una lezione di batteria rock ai suoi contemporanei. In ogni traccia uno strumento diverso sembra portare il filo conduttore del pezzo. Un basso effetto buldozer guida l’assalto della feroce “Hunter Of The Heart”. Riffoni spacca-montagna fanno da trampolino di lancio a sporchissimi vocalizzi in “Golden Rules”, infine un cenno anche alla stranissima “Double Monday” (che ammetto essere la mia preferita...). Chiude questa lunga ed insana allucinazione la triste “This Is Your Life”, ballad solo piano e voce, perla melodica nascosta nel fango del noise di Tracy G. Mai più risentiremo un Ronnie Dio cantare e comporre con questo approccio.
Ad oggi è troppo impegnato a friggere e rifriggere il solito frittatone tutto "draghi e maghi" tanto caro all’audience centroeuropeo. Che s’ ha da fa pe’ campà...
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