“Imagine yourself as the chosen one, caught in the middle of a rainbow in the dark; would you pray to be invisible? Oh, stand up and shout! Shame on the night, shame on you, shame on all of you!I could ask to the gypsy but don’ t talk to strangers. Pain goes straight through the heart if you would be the holy diver.”
Queste le parole usate dal cantante hard’n’heavy italo-americano Ronnie James Dio per presentare l’album di maggior successo della sua carriera solista “Holy Diver”, uscito nel 1983 a seguito della sua separazione dai Sabbath di Mr. Iommi a causa di discordie in sede di produzione del live “Live Evil”. Tutto ciò che scriverò nelle righe seguenti proviene da fonti sicure, perlopiù interviste del folletto. Partiamo innanzitutto dei membri del gruppo, ovvero dei DIO (la scelta di questo nome è del manager di Ronnie James Dio – nonché la moglie - Wendy Dio): il frontman è il carismatico e già pluri-menzionato Ronnie James Dio (vero nome Ronald James Padovana) nato nel 1948 nel New Hempshire ma di origine interamente italiana.
Ronnie (permettetemi di chiamarlo semplicemente con il suo nome) iniziò la sua carriera all’età di appena dieci anni con un gruppo formato da lui e 3 suoi compagni di classe. Dopo varie produzioni discografiche, fondò gli “Electric Elves” (ri-battezzati successivamente in “Elf”) affiancando il mondo della musica agli studi. Gli Elf vennero notati dai Deep Purple che scelsero proprio loro come support-band per un tour nord-americano. Decisero, inoltre, di produrre, per conto della “Purple Records”, gli album “Elf” (omonimo), “Carolina County Ball” e “Trying The Burn The Sun”.
Nel frattempo, Blackmore, rimasto entusiasmato dalle potenzialità vocali di R.J. Dio, registrò con gli Elf la cover di “Black Sheep Family”: l’idea di una cover di questo brano “rockenrolleggiante” balenava da tempo nella mente del Man In Black che la voleva registrare con i “contrari all’idea” Deep Purple. Così, Blackmore abbandonò i Porpora dopo una serie di liti con questi e fondò un nuovo gruppo chiamato “Ritchie Blackmore’s Rainbow”, che vedeva impegnati tutti gli Elf (chitarrista a parte - nonché il cugino di Ronnie stesso -) e registrò un album (inizialmente distribuito solo in Germania) che racchiudeva la cover di “Black Sheep Of The Family” e altri brani che diventeranno dei classici dei Rainbow come “Man On The Silver Mountain” , “Catch The Rainbow” e “16th Century Greensleeves”.
Seguirono altri album dei Rainbow con il folletto alla voce, ovvero “Rising”, “On Stage” e “Long Live Rock’n’Roll” . Questo segnò la separazione di Ronnie dal gruppo che si “trasferì” diventando il front-man dei Sabbath con i quali registrò gli album “Heaven And Hell”, “The Mob Rules” e “Live Evil”.
Il folletto, poi, fondò nell’ ’83 il suo gruppo solista (tornò nei Black Sabbath solo nel ’92 con l’album “Dehumanizer” per tornare immediatamente ad incidere album per proprio conto). (n.d.a.: spero che finora non vi stia annoiando). Quello che sarà scelto come axe-man dei DIO per i primi tre album (“Holy Diver”, “The Last In Line”, “Sacred Heart” e l’ep live “Intermission”) è il giovane talento irlandese Vivian Campbell (attualmente chitarrista dei Def Leppard), grandissimo esecutore, bravissimo compositore.
Vivian Campbell fu scoperto proprio da Ronnie James Dio che lo volle nel suo gruppo appena lo sentì suonare in una band locale alquanto sconosciuta. Al basso, invece, vi è (anzi, vi era dato che già da due anni ha abbandonato – spero solo momentaneamente – il mondo della musica) Jimmy Bain che già aveva lavorato a fianco dell’elfo nell’album “Rising” dei Rainbow. Jimmy Bain, a mio parere, è geniale sia a livello esecutivo che compositivo, sicuramente uno dei miei bassisti preferiti. Dietro le pelli troviamo, infine, il simpaticissimo Vinnie Appice (fratello del più noto Carmine Appice); anche lui, come Bain, aveva già lavorato con il frontman: non nei Rainbow, bensì nei Black Sabbath.
Come potete quindi constatare da soli la line-up è ottima e da un gruppo con una line-up ottima non può che nascere un capolavoro: “Holy Diver”.
La copertina:
La copertina non è, come molti pensano, un inno o un omaggio a Satana (anche se a primo impatto potrebbe sembrare) bensì dietro a quel grosso “diavolone” (il suo nome è Murray, così dice Ronnie in un’intervista presente nella versione rimasterizzata dell’album che sto recensendo) che annega un prete, ci sta un concetto che, in un certo senso, potrebbe definirsi “filosofico”: il mondo, quando è stato creato (non da un’entità onnipotente, Mr. Padovana stesso ha più volte asserito di essere completamente ateo) era un “qualcosa” di perfetto, era il “Paradiso”, ma l’uomo l’ha reso un “Inferno”; ognuno quindi, nel suo piccolo, può fare il paradiso o l’inferno, il bene o il male (ecco appunto il prete, ovvero il bene, e il diavolo, ovvero il male).
Questo è solo il riassunto di pagine e pagine d’ interviste al folletto riguardanti questa copertina. Si è sparsa la voce, inoltre, che capovolgendo il logo del gruppo (DIO) si possa leggere la parola “Devil” (Diavolo)… un messaggio subliminale? In realtà, non è niente di simile, ma si tratta solo di un caso: il disegnatore del logo stesso ha infatti detto che non vi è nessun messaggio nascosto in questo.
Ma ora passiamo alla recensione dell’album:
Questo si apre con la velocissima e “schizofrenica” “Stand Up And Shout”, non posso certo negare di averla ascoltata un’infinità di volte… ormai è diventata quasi un inno del gruppo tanto che molti loro concerti saranno aperti proprio con questa. “Stand Up And Shout” è un concentrato di energia, potenza e velocità. Si passa quindi al secondo brano: inizialmente solo silenzio, poi si sente il vento fischiare ed ecco che subentra il riff accattivante della title-track: il fatto che questa sia diventata la canzone più nota del gruppo parla chiaro. “Holy Diver”, un brano che, da ormai venti anni risplende nella top 20 dei migliori brani hard’n’heavy.
Dai testi fantasy che ricordano romanzi come “Il Signore Degli Anelli” non poteva che nascere un magnifico video dove Ronnie impersona un barbaro alle prese con la propria spada. Poi, vi è “Gypsy”, una canzone dura che si distacca dai consueti brani dei DIO, non per i testi, ma per la musica: la voce di Ronnie James Dio, infatti, si fa più dura e aggressiva e, allo stesso tempo, assume un pizzico di acidità che poco gli si addice: brano fantastico quanto curioso.
“Caugth In The Middle” è, invece, una track che mi ha sempre dato un “nonsocche” di allegro: forse la musica, forse la voce pulita che assume Mr. Padovana, forse perché è suonata un’ottava sopra rispetto alle “colleghe” o forse semplicemente per le gioviali note delle tastiere in sottofondo. Riguardo alla canzone successiva non trovo parole per descriverlo, a gusto mio la migliore di tutto l’album ed una delle migliori del repertorio del gruppo: sto parlando niente meno che di “Don’ t Talk To Strangers” (non parlare ai forestieri): bhe, si, i testi sono sempre ispirati alla letteratura fantasy e la musica è eccezionale: un misto di melodia, di arpeggi "mistici”, di una voce più bella che mai e, allo stesso tempo, di ritmi duri decisamente heavy metal.
Su “Straight Through The Heart” non c’è molto da dire: bella e classica canzone “alla DIO”, ossia il mio genere preferito. A seguire “Invisibile”, un bel brano ma che, per motivi a me ignoti, non mi ha mai entusiasmato e su questa non aggiungerei altro. Penso che “Rainbow In The Dark”, data la notorietà, la conosciate tutti: è una canzone carina e allegra ma niente di più, ha dei ritmi, infatti, leggermente pop (come ammette lo stesso R.J. Dio). Consiglio vivamente, invece, il video di questa: girato nella bellissima Londra, parla di un ragazzo che si è innamorato di una donna e comincia a seguirla per le strade e per i locali della città ma, quando la vede entrare in un sexy-shop ed uscire a coppia con il fidanzato Vivian Campbell mentre suona la chitarra (una Fender-stratocaster per l’appunto), capisce che non c’è speranza di riuscire a fidanzarsi con la sua amata e fugge via: tutto con le note di “Rainbow In The Dark” in sottofondo.
L’album si chiude con la track “Shame On The Night”, dai testi forti che riescono a farti sentire un “verme” nonostante sia completamente innocente: “Vergognati di notte, vergognati di te stesso, vergognati di tuo figlio, vergognatevi voi tutti!”. La musica, nel frattempo, trasmette immagini che riportano al Medioevo ed è proprio questo l’intento dei DIO: farti provare vergogna (è logico che non devi vergognarti veramente però il testo e la voce di rimprovero di Ronnie rendono realmente l’idea della vergogna) e nello stesso tempo trasmetterti immagini Medievali. Davanti ad un album del calibro di questo non posso che dire “I ROCK, YOU ROCK, WE ROCK!”.
Se state leggendo queste parole è perché avete avuto tempo e pazienza di leggera la mia recensione e Vi ringrazio calorosamente di ciò. Inoltre, vorrei pregarvi di essere comprensivi nei miei confronti: infatti, ho cercato, con questa recensione, di fare un omaggio e di dare il mio contributo al mio idolo (Ronnie James Dio). Ho provato a essere il più obbiettivo possibile e se ciò che ho scritto vi può sembrare un elogio è solo per il fatto che si tratta di un album che, ancora oggi, rientra nelle classifiche dei migliori “released” hard’ n’ heavy di tutti i tempi, così come “In Rock” e “Made In Japan” dei Deep Purple, “Kiss Alive I-II” dei Kiss, “The Number Of The Beast” degli Iron Maiden, “Led Zeppelin IV” e “The Song Remains The Same” dei Led Zeppelin, “Rising” dei Rainbow, “Paranoid” e “Heaven And Hell” dei Black Sabbath, “Master Of Puppets” dei Metallica, “Screaming For Vengeance” dei Judas Priest e via di seguito con altri album e gruppi che hanno segnato la storia del rock.
Carico i commenti... con calma