Luglio 1983: i Dire Straits non sono più un fenomeno che desta curiosità ma si sono già comodamente adagiati nei posti a sedere riservati a chi ha qualcosa da insegnare, sono una certezza, una band in continua crescita che ha appena pubblicato il prodotto più pregiato di quella che sarà la loro collezione e deve ancora piazzare, da lì a due anni, uno dei più grandi best-seller della storia. E a conferma che all'epoca non sbagliavano un colpo ecco una testimonianza, pubblicata nei primi mesi del 1984, di quella che è la loro massima espressione: il concerto, l'esibizione live in cui i brani precedentemente ascoltati su disco sembrano slegarsi dalle loro catene e percorrere evoluzioni che li portano fino al doppio della loro durata originale, arricchiti negli arrangiamenti, appesantiti dall'aggiunta di nuove linee sul pentagramma, ampliati nei passaggi strumentali per mettere in vetrina tutto il virtuosismo di una band che ha sempre, sempre suonato in modo eccellente. E non si tratta di virtuosismo di sola tecnica, ma anche di cuore.

Un disco doppio di appena 11 tracce è cosa piuttosto rara, tuttavia la durata complessiva è di un'ora e mezza abbondante; vengono tirati in causa tutti gli album pubblicati fino a quel momento anche se la parte del leone la fanno "Making Movies" (4) e "Love Over Gold" (3). Da "Communiquè" arriva la traccia che apre le danze, la lenta "Once Upon a Time in the West" durante la quale la Fender di Mark Knopfler inizia a pungere, mentre dall'album d'esordio omonimo ecco "Sultans Of Swing", cresciuta, pompata, dopata, vestita per sedurre: l'originale versione su disco di quasi 6 minuti è solo l'acerbo embrione di questa sua evoluzione di oltre 11, con Terry Williams alla batteria che pesta come un dannato e Mark Knopfler che si lascia andare in assoli da vertigine finchè le sue dita diventano roventi sui sedicesimi finali. La conferma che i Dire Straits trovano nel live la loro dimensione ideale è data anche dal fatto che l'album è stato confezionato e rilasciato senza modifiche o ritocchi al suono registrato durante l'esibizione nelle due serate all'Hammersmith Odeon di Londra, e proprio nulla risulta essere fuori posto, anzi suona tutto molto più vero e tangibile. "Love Over Gold", presente solo nella pubblicazione su CD doppio ed eseguita in una versione ridotta rispetto a quella registrata in studio, sarà scelta come singolo per il mercato, mentre in coda c'è anche spazio per la strumentale "Going Home" pescata dal fresco repertorio solista di Mark Knopfler. Trovare un brano che faccia la parte del leone è difficile, avendo la scelta fra almeno tre o quattro, ma l'ascolto di "Tunnel Of Love" non può lasciare indifferente chiunque abbia un briciolo d'emozione da giocarsi: dall'intro in cui dialogano chitarra e sax, passando per il corpo della canzone molto più sostenuto dell'originale, per la risata scappata a Knopfler su "like the Spanish City to me..", per le urla estasiate udite in lontananza fra il pubblico quando la musica rallenta (e come dar loro torto?) fino agli ultimi lunghi minuti d'assolo, lunghi ma mai abbastanza: Knopfler fa l'amore con la musica, la chitarra che parte timida e silenziosa per poi aumentare di intensità a poco a poco, passaggio dopo passaggio, carezza dopo carezza, facendosi seguire a ruota dagli altri strumenti che non possono restare lì indifferenti, si lasciano trascinare tutti, basso, batteria, piano, tastiere, diventano un fiume che cresce e cresce ancora fino ad arrivare nel finale all'orgasmo dei sensi, collettivo, di tutti. Piacere.

E' un album che suona giocoso e serio allo stesso tempo, i colori pastello degli anni 80 vengono vestiti da musicisti d'alta scuola, l'ottimismo di un decennio di plastica in cui tutti facevano finta di stare bene echeggia in quest'opera che sprigiona una qualche aria di festa, non una festa di ragazzini dai capelli cotonati o di cocainomani in discoteca, ma la festa di musicisti di professione che si divertono da matti a far felici chi li ascolta e Mark Knopfler, sotto quella giacca rossa, ha un cuore grande così.

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