Quanta nostalgia per questi album da 40 minuti, densi di idee e di musica, e non gonfi di riempitivi come accade agli odierni CD... lunghi, lunghissimi fino alla noia. Tempi in cui il supporto (vinile) ti costringeva a tagliare il superfluo, ed a badare al sodo. Ma in compenso, portava i gruppi a sfornare un disco all'anno con 6-7 canzoni in genere già affinate nei vari tour per la gioia dei fans.
Il primo disco di una band in genere racchiude la miglior produzione degli esordi, dei primi tour, le composizioni giovanili. Poi il secondo LP va a rimorchio, raccogliendo ciò che non ha trovato posto nel disco d'esordio. E vista la sua natura residuale, raramente il secondo disco è migliore del suo predecessore di successo. Stessa sorte tocca a Communiqué (1979), schiacciato dal successo e dall'eccessiva vicinanza col suo predecessore Dire Straits (1978), e che non gode di una hit immortale come "Sultans Of Swing". La parola che più sovente si ritrova nelle recensioni di questo disco è "clone".
Ma cosa rimane di questo disco a quasi trent'anni dalla sua uscita? Un disco fresco, penso più orecchiabile rispetto al fratello maggiore, con un Mark Knopfler poco pop e molto Dylan, e dove la Fender cristallina del leader si fa sentire in lungo ed in largo in ogni canzone senza dover dividere la scena con tastiere, sax o pedal steel.
"Once Upon A Time In The West", "Where Do You Think You're Going?", "Follow Me Home" sono fulgidi esempi di ciò che Knopfler sa fare con una semplice base ritmica, la sua voce profonda e la sua chitarra. Forse un genere abbandonato troppo presto, per andar a cercare alle volte un rock da classifica altre volte una orchestralità eccessiva.
E così se chiunque si avvicini al mondo dei Dire Straits verrà ammaliato dai grandissimi hit quali "Money For Nothing" o da dischi più complessi come "Brothers In Arms", sono sicuro che con gli anni le orecchie cominceranno a preferire il Knopfler più ruvido ed essenziale.
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