Quando questo disco comparve nelle vetrine dei record shops, per me fu già una vittoria e la prima cosa che pensai - volente o nolente - era che il gruppo di Mark Knopfler agli anni '90 c'era arrivato, attraversando (per modo di dire, naturalmente) comunque tre decadi. A questo disco Mark Knopfler ci approda facendo soprattutto tesoro di quanto successo nel dopo "Brothers In Arms": dai più di 230 concerti in un anno, passando per due egregie colonne sonore come "Princess Bride" e "Last Exit To Brooklin", arrivando all'estemporanea avventura a nome Notting Hillbillies.
A "Calling Elvis" spetta il ruolo di opener e lo fa alla grande, rivelandoci un appeal rock 'n' roll prima in maniera molto dimessa, poi di prepotenza dove è un rovente stacco chitarristico (provate ad alzare il volume per quei cinque secondi!) a fare da ponte di congiunzione. La commovente citazione "There's gotta be a record of you somewhere, you gotta be on somebody's book"
- che testimonia una vena poetica ad altissimi livelli - ci guida alla titletrack, che dispiega una calma e toccante interpretazione vocale per culminare in un limpido susseguirsi di accordi che si dimostra ancor più trascinante nel finale.
Uno dei compiti più ardui di un disco - a mio sindacabilissimo giudizio - è quello di riuscire a far peregrinare la mente di chi si cimenta nell'ascolto, tra i propri pensieri, ricordi (e perché no?!) anche nei sogni, affermando il ruolo di personale colonna sonora, compito nel quale le dodici composizioni di questo cd riescono pienamente. Questo è dovuto anche alla diversità di atmosfere che vengono a librarsi durante l'ascolto, infatti non è difficile immaginare di consumare un gradevole doppio whiskey al bancone di un saloon sulle note di "When It Comes To You", o seduto in un elegante jazz club ascoltanto la garbata "Fade To Black" o fantasticando di attraversare le gloriose strade di Broadway alla fine degli anni '50 magicamente trasportati dall'amorevole "Ticket To Heaven". Bisogna prenderne atto che i Dire Straits non sono più il gruppo dove Mark Knopfler crea canzoni che vengono suonate solo dai suoi fidi, incaricati esclusivamente di preparare il campo ai suoi interminabili ed (concedetemelo!!) immortali assoli, ma con "On Every Street" il "grande capo" si circonda di eccezionali session men come Phil Palmer alla chitarra, Paul Franklin che fa da contraltare con la pedal steel guitar, Chris White (vecchia conoscenza) al sax, Manu Katche e Jeff Porcaro (R.i.p.) alla batteria, oltre ad aver commissionato una completa gamma di ottoni per "My Parties" che parte (lo so è molto cacofonico!!) in maniera poco pretenziosa e dove le esperienze extra-Straits del leader vengono ad essere convogliate in un brano dai toni innovativi.
La volontà di M.K. di non voler rendere "On Every Street" la copia carbone di "Brothers In Arms", trova sicuramente conferma ascoltando il disco, dove la ritmata "The Bug" può parlare una lingua vicino a quella di "Walk Of Life", mentre la coriacea "Heavy Fuel" trovare l'intuibile accostamento a "Money For Nothing" senza subire l'accusa di plagio. Di certo capolavori ricercati come "Planet Of New Orleans" - che avrei visto bene interpretata da Sade - o "You And Your Friend" (nonostante composta circa dieci anni prima), non avrebbero mai potuto trovare posto su alcuna delle pubblicazioni precedenti, così come senza il "training" dei citati Notting Hillbillies ed il tirocinio pubblicato a nome "Chet&Mark", forse non avremmo potuto far godere le nostre orecchie di perle rare come "Iron Hand" e "How Long" (perfetta conclusione), magari scoprendole frà un po' di anni in un cofanetto antologico fatto di b-sides e di outtakes di non eccelsa qualità. Acquisto ed acolto consigliato a chi ama i Dire Straits e le atmosfere patinate.
Il vero voto che spetta a questo disco è 4,5, non perché 5 sia troppo, ma 4 me lo faceva ritenere un disco distinto.
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