Stateless proprio nel senso di "senza stato", ché Alex Zhang Hungtai - indiscutibilmente il cinese più bono del mondo - è uno spiantone e di questo hanno già scritto in tanti.
Comunque scordatevi il vecchio Dirty Beaches che riverberava il rockabilly e campionava con profitto Françoise Hardy mentre lavorava sui sample cantandoci sopra con quella sua voce roca, baritonale e profonda; cioè scordatevi il Dirty Beaches ambientbilly che a un approccio artistoide - artsy come dicono all'Inghilterra - e sintetico-campionatore, coniugava chitarracce vintage, pose brillantinate, nerità e le belle melodie vocali di una volta.
Levate il -billy e l'immaginario 50's, levate pure il cantato: restano l'ambient il soft-drone, e l'artefattura di quest'album di commiato. Non una direzione diversa: piuttosto, una presa di coscienza musicale ascetica che slega Dirty Beaches da ogni traccia di mondanità, ballabilità e orecchiabilità, per farlo regredire a producer d'informe materia-rumore. Quattro tracce senza traccia di battute: un immobile aritmico oceano di stratificazioni armonizzate che in quasi niente si discostano dalla prassi ambient di tendenza più sognante e gaze. Hungtai lancia e lascia definitivamente Dirty Beaches in una scena florida, ma satura di prodotti ammiccanti e manieristi, tipo sono zen e ti faccio dormire, ho riverberi: scaricami. Però, in questo mare magnum ambiente, lo spessore, la professionalità e l'accuratezza che ci si aspetterebbe da un nome così pesante, vengono comunque fuori bene rispetto alla qualità media del giro, che è fatta di produzioni caserecce e tanta tanta manovalanza. Ma la faccia oscura di Stateless è comunque acustica, come se Hungtai non riuscisse a rinunciare fino in fondo al reale; ce lo dicono, sommessamente e ingolfati nei synth, la viola di Displaced, la fisarmonica sul finale della title-track, certi fiati e addirittura certi rumori di tasti che si schiacchiano. Nessun glitch però, e basse frequenze ad alta qualità che ti spaccano, vedi ancora l'inizio dell'eponima. E poi, a distinguerlo, c'è pure un'aria mistica orientaleggiante, un quid che non viene bene a spiegarsi, ma è chiaro che c'è, pure se non è facile afferrarlo.
Pesante, mastello e indubbiamente ben fatto. Consigliato ai dormiglioni e a quelli che fanno l'Accademia.
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