"Bleed the Fifth" è un disco al di sopra delle mie aspettative. In un panorama musicale dove tutti si rifanno all'ondata death svedese rimodernandola con elementi hardcore creando dischi fotocopia dei vari Dark Tranquillity, At The Gates e compagnia, trovare una band in grado di distinguersi come i Divine Heresy fa veramente gioire.

Basta vedere la formazione per rendersi conto che abbiamo a che fare con una band che conosce molto bene la materia con cui armeggia: alla chitarra troviamo infatti l'ex-Fear Factory Dino Cazares, qua in ottima forma dopo le recenti uscite della band "madre" dove il nostro aveva perso un po' dello smalto dei tempi d'oro. Il resto della line-up comprende Tommy Vext alla voce (growl e scream),  Joe Payne (basso) e Tim Yeung (batteria).

L'album, pubblicato a fine agosto 2007, è un concentrato di death metal furioso imbastardito dall'hardcore e da sfuriate grind al fulmicotone. Basta sentire l'uno-due iniziale (la title-track e "Failed Creation", il singolo estratto dall'album) per rendersi conto di che pasta sono fatti i nostri. Cambi di tempo velocissimi, in grado di variegare la struttura ritmica e il riffaggio, in modo da uscire dal solito schema "strofa-ritornello-strofa" in brani che viaggiano sui canonici 3-4 minuti di durata. Il groove elevatissimo e il suono gommoso e distorto della chitarra di Cazares, vero e proprio marchio di fabbrica del chitarrista, rende le canzoni godibilissime e mai noiose.

I punti di contatto con i Fear Factory non sono tantissimi, a parte il cantato (rabbioso e in growling nelle strofe, pulito e melodico nei ritornelli, anche se le vocals maggiormente utilizzate sono le prime) e appunto il riffing work, che va di pari passo con la doppia cassa. "Soul Decoded (Now and Forever)" sarebbe potuta uscire benissimo da "Obsolete", così come non si può pensare ai Machine Head di "Burn My Eyes" ascoltando il finale di "Royal Blood Heresy", che ricorda moltissimo quello di "Davidian". Per il resto, la strumentazione è ridotta all'essenziale: chitarra-basso-batteria, a parte alcuni giochetti d'atmosfera presenti nell'intro della già citata "Royal Blood Heresy" o gli effetti elettronici iniziali di "This Threat Is Real".

L'unico limite del disco è forse il songwriting, a tratti un po' incompleto e parecchio debitore dei grandi nomi del calibro di Meshuggah, Strapping Young Lad oltre che degli stessi Fear Factory, ma a parte questo non sono presenti cadute di tono evidenti. "Bleed the Fifth" è un ottimo album di death metal moderno che fa ben sperare per il futuro, quando i nostri riusciranno a delineare uno stile più personale. Ma per ora possiamo benissimo accontentarci.

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