Il bambino bollito alla cinese, come è ormai arcinoto, è una prelibatezza che un vero Coglione, per essere tale, almeno di tanto in tanto si deve concedere. Ma si sa che la sua digeribiltà non è certo il massimo, quindi non meravigliamoci se dopo il succulento pasto ci assale un torpore inquieto, popolato di immagini e suoni provenienti direttamente dal Socialismo Reale. Per esempio può capitare di essere catapultati nella gloriosa Leningrado (oggi nota con il nome borghesuccio e neozarista di San Pietroburgo) del 1941, assediata ormai sempre più da vicino dalle divisioni del Nazi Infame, con l'eroico Popolo Sovietico ormai allo stremo e con una strana figura di musicista-intellettuale malaticcio e occhialuto che vuole di riffa arruolarsi per contribuire alla resistenza della città. E' Dmitri Shostakovich, e con lui non si può certo dire che Stalin sia stato generoso: pur intendendosi di musica meno del tamburino di una banda paesana, lo strapotente Baffone ha messo più volte il becco anche in questioni musicali, bollando come "occidentali e decadenti" diverse opere, in particolare dello stesso Shostakovich e di Prokofiev, sue vittime preferite, spesso minacciate anche di "provvedimenti disciplinari" (leggi "Siberia"...brrr !). Ma di fronte all'incedere dell'Imbianchino Pazzo, Dmitri non ha dubbi: non c'è da tentennare oltre, è l'ora difendere la Grande Madre Russia, Baffone o non Baffone. E siccome la richiesta di arruolamento viene respinta, non gli resta che un solo modo per farlo: mettere in musica gli avvenimenti di quell'anno infernale. Nasce così la Sinfonia n° 7 in do maggiore Op. 60, detta non a caso "Leningrado", uno dei più lampanti esempi di come la storia possa farsi musica. Una specie di "Eroica" del Popolo Russo, per la quale il discusso musicista sovietico riceverà premiazioni e onorificenze di Stato, riappacificandosi almeno per un po' con il suo arcigno e baffuto persecutore. Tutto ciò potrebbe far pensare ad un'operazione di propaganda un po' opportunistica, ma l'ascolto mostra chiaramente quanto questa composizione sia stata, almeno in gran parte, profondamente vissuta e direi "sofferta" dal suo autore, anche perché quando fu completata le truppe naziste non si erano ancora allontanate definitivamente dalla Russia.

Di dimensioni mahleriane (1 ora e un quarto) la Settima ha sicuramente il suo centro vitale ed espressivo nel primo movimento ("Allegretto") che da solo dura quasi mezz'ora. E' un movimento assai complesso, aperto da un quadro di ampio respiro, in cui temi maestosi  alternati con altri più idilliaci, raffigurano la grandezza della Russia, non solo del suo popolo ma anche della sua natura. Questa prima parte sembra costruita ad arte fin dall'inizio, con il preciso scopo di contrapporsi alle minacce incombenti. E' qui che fa il suo ingresso il cosiddetto "tema nazista", che verrebbe spontaneo immaginarsi come una fragorosa tempesta di tamburi, magari sostenuti da fanfare militaresche. Niente di tutto ciò: è soltanto una marcetta rozza e banale, all'inizio esposta in "pianissimo", molesta come un ronzio di zanzara, poi ostinatamente ripetuta in un crescendo di volume e di intensità da Bolero di Ravel, sempre più minacciosa e invadente, fino allo scoppio finale degli ottoni e al loro straziante pianto a dirotto. Siamo alla battaglia, che non dura molto, ma lascia una scena desolata (mi viene in mente un verso, tanto per cambiare, di De André: "C'erano solo cani e fumo, e tende capovolte...").

Dopo una breve ma terribile fase di silenzio quasi totale, già prima che il tempo si chiuda si possono cogliere i primi segni di ritorno alla vita: per prima è la natura a riprendersi, anche se sullo sfondo, attutito, si ode ancora il fastidioso e petulante "tema nazista". Il secondo movimento, "Moderato (poco allegro)" parte in tono sommesso, come si conviene per una situazione da "day after". Il motivo iniziale ha un tono "guardingo", ancora abbastanza sinistro, che fa pensare a certi "Scherzi" di Mahler. Progressivamente però questa danza spettrale si vivacizza e apre la strada all'intenso "Adagio", nel quale si afferma definitivamente la rinascita, con la paziente ricostruzione, quasi completa, del quadro esposto all'inizio della Sinfonia. Ma le ferite ci sono, e si sentono ancora ben vive nella fase centrale del movimento, molto più tormentata e agitata di quanto l'indicazione "Adagio" faccia supporre.

Il finale ("Allegro non troppo") è il punto debole della Sinfonia, non tanto per la prima parte, che in pratica porta avanti la descrizione della ritorno alla normalità già avviata nei due precedenti movimenti, ma per la coda, un po' troppo trionfalistica e pomposa, in cui si intuisce chiaramente la vittoria (peraltro all'epoca non sicura) del glorioso Popolo Russo. Un tocco di propaganda che intacca, sia pure di poco, la grandezza monumentale di un'opera estremamente ricca di spunti melodici e cromatici, specialmente tenuto conto dell'epoca.

Un cenno sulla versione che conosco, eseguita dall'Orchestra Filarmonica Ceca, diretta da Karel Ancerl, giusto per far notare come l'orchestra nazionale di un popolo che nel 1968 l'Armata Rossa se l'è ritrovata in casa, e certamente non nella sua versione più gloriosa, abbia saputo invece calarsi con sincera partecipazione dentro a quella vicenda eroica, decisiva per la storia russa, ma anche per quella mondiale.

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