Dovevano essere timpani ed invece erano fuochi di armi belliche. Si sperava fossero ottoni ma a morte accertata di quest'ultima si capì che era il fragore delle bombe, a caduta incessante sulla città. Forse potevano essere violini ma non erano altro che i lamenti dei feriti.

Dmitrij Sostakovic compose la sua settima sinfonia, fortunatamente lontano dai bombardamenti, durante il terrificante assedio nazista che sconvolse Leningrado. La dura corteccia della città sovietica costrinse però i tedeschi alla ritirata. Dopo quasi tre anni.

L'opera si divide in quattro fasi, dove la prima, marchia a fuoco l'intera struttura della sinfonia. L'immagine che appare ad un ascolto attento è quello di uno strano silenzio iniziale, sinistro, quasi irreale. Qualche flebile rumore ben interpretato dagli strumenti balza sulla scena tra la sorpresa e un annuncio mal comunicato. Qualcosa di inquietante sta per giungere nonostante i tentativi inani di nascondere i rumori di fondo. Parte il primo movimento, allegretto. I tedeschi stanno calpestando il suolo della città, bisogna correre ai ripari. Gli aerei ci stanno sorvolando. Se qualcuno può salvarsi, lo faccia. I resistenti non si abbattono e contrattaccano senza remore. Si entra nel pieno di una battaglia sonora con il movimento principale che si ripete in crescendo. Ed è intorno al dodicesimo minuto che le frasi si espandono in tutta la loro grandezza. Volano timpani, archi, fiati ed ottoni, quasi a voler prendere il posto delle granate in impatto sul terreno. Con un pizzico di immaginazione ci sono alcuni passi in cui sembra di ascoltare il crepitare dei mitragliatori ben avvicendati dal ritmo incalzante delle percussioni. Con un geniale fuori tempo, alcuni piatti si immergono nei panni delle bombe in caduta libera, per poi riallacciarsi alla metrica briosa della marcia.

La seconda fase, in moderato, funge come passaggio dal fragore della scarica dell'artiglieria ad un silenzio metallico da coprifuoco. Un violino fa percepire i corpi adagiati sul selciato non ancora privati del respiro. Le macerie ancora resistenti trovano il tempo di abbandonarsi al suolo con un rumore sordo. Ricorre il movimento principale ma con qualche variazione. L'idea è quella della pianificazione di una strategia, l'azionare dei cervelli per difendere la città. Una mano amica che separi il collo di Leningrado dal cappio mortale dei tedeschi.

L'adagio sconfina in una lentezza pesante. Mille aghi pizzicano l'anima sanguinante della sinfonia. Le lacrime trovano spazi sufficienti per correre indisturbate. I risultati di ogni guerra non sono mai solari. Inutile dirlo ma, qui si sente.

Uno strano ma profetico ritmo incalzante caratterizza l'ultimo movimento. Il prosieguo dell'adagio, la fase più profonda della sinfonia, si scontra con un arrembaggio del primo movimento che starebbe a definire un successo sul nemico. L'Armata Rossa avrebbe respinto i rostri dell'avanzata nazista, avrebbe resistito all'invasione con immani sacrifici e ciò viene evidenziato con una metrica estremamente trionfante, carica di suoni potenti a determinare l'importanza dell'evento e l'enfasi della vittoria. Strano in quanto, dal termine della stesura alla prima nel marzo del 1942, l'assedio era ancora in piena tregenda e mi risulta difficile immaginare che qualcuno abbia avuto l'ardimentosa velleità di giocarsi qualche rublo sulla vittoria sovietica. Profezia quanto mai azzeccata, tra l'altro.

L'anima dell'opera è indubbiamente molto critica, profonda ma intrisa di un'acredine alimentata dalla sopraffazione, dal totalitarismo e dagli orrori di un conflitto assurdo. Anche Sostakovic fu, come per molte altre eccellenze della società sovietica dell'epoca, oggetto additato dallo "j'accuse" idiota della fetida claque guidata da Stalin. Non è difficile immaginare quante volte, nonostante prestigiosi riconoscimenti, il compositore abbia dovuto pulire quelle lacrime amare che avrebbero appannato quelle lenti dalla montatura spessa. Con la dovuta cautela Sostakovic era critico nei confronti della politica staliniana, cosa che ha potuto esternare solo dopo la morte del tiranno, a pari passo con una meritevole riabilitazione.

In circolazione esistono diverse versioni. Tra le eccelse, quella diretta da Kurt Masur e da Vladimir Askenazij. Quella in mio possesso, che consiglio per l'enfasi è quella diretta da Mstislav Rostropovic, tra l'altro validissimo collaboratore di Sostakovic tra le corde di un violoncello.

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