Forse, anzi diciamo quasi sicuramente, il nome di Dock Boggs a molti di voi non dirà nulla, tuttavia il signore in questione è tra i capostipiti del country-blues-hillbilly bianco degli Appalachi, un mito del prewar folk.

Siamo negli anni '20 e l'America non è propriamente il paese che conosciamo oggi, bensì un paese in crisi e in forte depressione economica, specie il Sud, una zona ancora tendenzialmente rurale, dai forti contrasti razziali e dalle numerose miniere di carbone.

Non solo contrasti tra i bianchi e gli afroamericani, ma molti anche i punti di contatto e le similitudini nella vita, come nella musica, dove molti bianchi del Sud si trovarono a vivere nelle stesse condizioni di vita dei neri afroamericani e a riprendere il blues acustico del Mississippi per rivisitarlo in chiave country.

Dock Boggs era uno di questi. Misconosciuto cantante e banjoista, originario del Virginia, dove nacque nel 1898, ebbe una vita a dir poco travagliata che lo vide dapprima minatore all'età di dodici anni, poi contrabbandiere di whisky, musicista fallito e poi ancora minatore sindacalista.

La sua carriera è convenzionalmente divisibile in due tronconi: quello degli anni '20, in cui tentò in tutti i modi di sbarcare il lunario con la musica, incidendo per varie etichette, ma senza grandissimo successo e quello degli anni '60, dove grazie l'interesse di Mike Seeger, fratello di Pete, fu oggetto di una vera e propria riscoperta con tanto di incisioni per la Smithsonian/Folkaways, storica etichetta di musica tradizionale americana.

Dicevamo della prima fase della sua vita che lo vide più che altro impegnato a sopravvivere tra sparatorie varie, ubriacature moleste e soggiorni nelle patrie galere. La passione per il banjo era la sua unica valvola di sfogo, la via per raccontare  le storie di violenza, alcool e povertà con cui si scontrava quotidianamente. Ovviamente il banjo, che peraltro suonava con grande maestria e con una tecnica originalissima, toccando una corda dietro l'altra, creando melodie perfette,  non dava però da mangiare. Quindi dopo qualche registrazione nei tardi anni '20, smise di incidere "preferendo" le miniere e le lotte sindacali.

Poi, fino al 1963 il silenzio. Il nulla.

Solo dopo l'interesse di Pete Seeger (e grazie all'ondata di folk-revival che colpì gli States nei '60) che lo volle proprio in quell'anno all'American Folk Festival di Asheville, il nostro buon Dock riprende il banjo in mano e ritorna a tracciare melodie rurali, secche e scheletriche, ossessivamente dissonanti.

La sua voce claudicante è resa più afona e cruda dagli anni e dalle sofferenze che la vita gli ha riservato, tuttavia il suono del suo banjo arriva alle orecchie e al cuore in maniera più diretta e pulita, grazie anche alla qualità migliore delle registrazioni.

Il prezioso doppio della Smithsonian/Folkways, comprende appunto le registrazioni degli anni '60, per la precisione, quelle contenute in "Legendary Singer & Banjo Player" (1963), "Vol. 2" (1965), e "Vol. 3" (1970).

Quello che stupisce di questa interessantissima raccolta è la purezza e la spontaneità della musica e la genuina abilità di Dock Boggs, anche a distanza di anni dal suo debutto musicale, di mantenere intatte le capacità compositive e narrative, con frequenti usi di brillanti ed intelligenti allegorie e metafore, difficilmente supponibili per uno cresciuto tra miniere e whisky.

Altamente consigliato a quanti amano il country, il folk, blues e l'hillbilly.

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